Sarebbe stato il copilota a provocare l’incidente aereo di martedì, costato la vita a tutte le 150 persone a bordo dell’Airbus della Germanwings precipitato sulle Alpi in Provenza.
Dalle indagini emerge una drammatica realtà: il copilota si sarebbe suicidato, trascinando con sé l’equipaggio e tutti i passeggeri del volo.
Secondo quanto è emerso dall’analisi della scatola nera, il secondo pilota si è chiuso in cabina di pilotaggio, impedendo al comandante di rientrarvi, e ha avviato la fatale discesa dell’aereo. Ormai gli inquirenti sono più che convinti che lo abbia fatto di sua volontà.
A due giorni dall’incidente, dunque, l’attenzione degli inquirenti si è concentrata sul copilota, Andreas Lubitz, di 28 anni, originario di Montabaur, in Germania.
Per quanto giovane, Lubitz aveva un curriculum di tutto rispetto: aveva studiato pilotaggio per sei anni, a Brema e poi a Phoenix, negli USA, ed aveva superato brillantemente tutte le prove tecniche, cognitive e psicologiche.
A spiegarlo alla stampa è stato Carsten Spohr, amministratore delegato di Lufthansa, che controlla Germanwings.
“Non è possibile escludere che casi come questo possano accadere, anche con tutte le misure di sicurezza del mondo”.
Gli standard di valutazione che Lufthansa esige dai suoi piloti godono di altissima considerazione fra gli specialisti di volo
Ora, il nodo più importante che gli inquirenti sono chiamati a sciogliere riguarda le motivazioni che possano aver spinto Lubitz a compiere il suo gesto estremo.
La pista terroristica sembra improbabile: sconosciuto alle forze dell’ordine, Lubitz non aveva legami con alcun gruppo sospetto. Viveva tra Düsseldorf e Montabaur, a casa dei genitori, ed era iscritto a un club privato di amanti del volo.
A questo punto, l’ipotesi più accreditata dalla stampa sembra quella del suicidio.
Sicuramente è una delle piste battute anche dagli inquirenti, che tuttavia, naturalmente, a questo punto delle indagini non possono ammetterlo in via ufficiale.
Avvalorerebbe questa tesi l’ipotesi, sostenuta da una conoscente di Lubitz, che il giovane pilota avesse sofferto in passato di depressione. Tuttavia, dopo l’episodio, che lo avrebbe costretto ad interrompere la formazione professionale per qualche mese, Andreas Lubitz aveva ripetuto e superato tutte le prove psico-attitudinali già sostenute.
“Alla luce delle indagini, l’interpretazione che possiamo dare in questo momento è che il copilota, attraverso un’omissione volontaria, si sia rifiutato di aprire la porta della cabina al comandante, e abbia attivato il pulsante che comanda la perdita di quota”.
A parlare è Brice Robin, procuratore capo di Marsiglia incaricato delle indagini.
Robin ha indetto una conferenza stampa per fornire spiegazioni sull’analisi della prima delle due scatole nere, quella che registra voci e rumori in cabina di pilotaggio, rinvenuta sul luogo del disastro.
Gli inquirenti, ha spiegato il procuratore, hanno a disposizione la registrazione degli ultimi trenta minuti prima dello schianto.
Nei primi venti minuti, nei quali l’aereo stava salendo fino alla quota di crociera, i due piloti conversavano cordialmente, e nulla faceva presagire che si stesse per verificare alcunché di anormale.
Poi, però, appena l’aereo ha raggiunto una quota stabile, il comandante ha chiesto al suo secondo di prendere il comando dell’aereo ed è uscito dalla cabina, probabilmente per motivi fisiologici.
Rimasto solo, il copilota ha attivato la procedura di discesa e chiuso la porta blindata che dava accesso alla cabina. “L’azione”, ha commentato Robin, “non può che essere volontaria”.
Quando ha scoperto di essere rimasto chiuso fuori, il comandante ha bussato e chiamato più volte il suo secondo, non ricevendo alcuna risposta.
Il copilota, però, era vivo e con ogni probabilità cosciente: secondo quanto afferma il procuratore, il suo respiro è stato captato dalla scatola nera, ed era perfettamente normale fino al momento dell’impatto.
Quel che si sente negli ultimi minuti della registrazione sono i colpi del comandante, che provava senza risultato a forzare la porta della cabina, e le urla dei passeggeri, che si sono accorti solo all’ultimo del disastro imminente.
Le porte delle cabine di pilotaggio degli aerei rispettano un rigoroso standard internazionale, approvato all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001.
Per aprire la porta dall’esterno, bisogna digitare su una tastiera un codice segreto, disponibile solo al personale di bordo.
Esiste poi una modalità d’emergenza in cui la porta si può aprire dall’esterno solo con il consenso di chi si trova dentro la cabina. Se questo consenso manca, ad esempio se il pilota ha perso conoscenza per un malore o una perdita di pressione, la porta resta automaticamente bloccata per venti minuti.
Il funzionamento del meccanismo di chiusura è estremamente sofisticato, ma si basa su un presupposto comune a tutti i regolamenti di sicurezza, e cioè che chi è incaricato di garantire l’ordine a bordo – nel caso degli aerei, i piloti – non abbia altri interessi in conflitto con questo compito.
Purtroppo, la cronaca dimostra che questo presupposto non è sempre rispettato.
Il suicidio della persona ai comandi è un’ipotesi proposta, ad esempio, nel caso di un incidente avvenuto nel 1999, quando un Boeing 767 dell’Egyptair diretto al Cairo si schiantò in mare mezz’ora dopo il decollo da New York, uccidendo tutte le 217 persone a bordo.
Filippo M. Ragusa
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