Il 25 giugno prossimo si decideranno le sorti di 22 comuni capoluogo di provincia e di tutti quei centri con più di 15 mila abitanti (111 su 160) che al primo turno, domenica scorsa, non sono riusciti ad eleggere il primo cittadino tra i candidati sindaco perché nessun aspirante è riuscito a superare la soglia del 50% dei consensi (il 40% in Sicilia). Quasi la metà degli aventi diritto – 4,3 milioni sui 9,2 milioni al voto l’11 giugno – verrà quindi nuovamente interpellata l’ultima domenica di giugno per una scelta che sarà, o dovrebbe essere, definitiva per i prossimi cinque anni.
Il risultato uscito dal primo turno ha visto una sorprendente rimonta del centrodestra, anche se chi ha realmente vinto queste elezioni lo scopriremo la sera dei ballottaggi quando sarà definitivo il conteggio dei sindaci di una parte e dell’altra (sembra si sia delineata nuovamente la preferenza per il bipolarismo). Ma già adesso, senza bisogno di attendere la data del 25, sappiamo che ad uscire sconfitti, con le ossa rotte o solo con qualche livido sono Pd e M5S: quest’ultimo va al ballottaggio soltanto in 8 comuni su 140. Mentre nel 2016, solo un anno fa, i pentastellati vinsero 19 ballottaggi su 20, conquistando città prestigiose come Torino e Roma, le stesse che ora li bollano e li arretrano di diverse postazioni.
Secondo l’opinione pubblica ci sono tre parziali vincitori, Pd (per il 17% degli intervistati), Forza Italia (23%) e la Lega di Salvini (23%), mentre per il 64% c’è un sicuro sconfitto, il Movimento 5 Stelle. In linea generale, gli elettori dei diversi partiti hanno mostrato sorpresa per l’esito del primo turno, più di tutti quelli del MoVimento Cinque Stelle. Soddisfatti gli elettori/simpatizzanti del centrodestra che finalmente cominciano a guardare anche oltre il prossimo 25 giugno. Quanto però alla prospettiva di un possibile accordo governativo tra i due poli, secondo i sondaggi effettuati nei giorno successivi al primo risultato la stragrande maggioranza (il 75%) degli intervistati lo gradirebbe poco o nulla, il 16% abbastanza, il 3% molto. Ma c’è un altro dato interessante, peraltro emerso già la settimana scorsa dal sondaggio Ixè per la trasmissione Agorà, dove il 57% si è dichiarato non favorevole alle elezioni anticipate: sono molti gli italiani che troverebbero più vantaggiosa la permanenza al potere dell’attuale governo Gentiloni, almeno fino alla fine della legislatura e, perché no, anche più in là.
Ma come si comporteranno i Cinque Stelle laddove non è in lizza per la poltrona di sindaco un loro rappresentate? Nonostante la mancanza di indicazioni, l’avversione sempre più marcata per il Pd fa preferire un dialogo con il centrodestra, che a sua volta sente di poter sfruttare la deriva «leghista» dei Cinque Stelle per ereditare una parte dei loro voti: un serbatoio forse decisivo contro la sinistra. Il nemico da battere, dunque, sia per centro destra che per M5S è solo e soltanto il Pd che il centrodestra vede come avversario immediato, e i Cinque Stelle come concorrente in prospettiva sul piano nazionale. Se poi da queste affinità venate di xenofobia nasceranno anche alleanze, si vedrà. Scrive Massimo Franco sul Corriere della sera che Grillo si muove come se ritenesse davvero di poter avere la maggioranza relativa dei voti e dei seggi in Parlamento; dunque, di ricevere per uno dei suoi l’incarico di formare un governo dal capo dello Stato, Sergio Mattarella. Il tema dell’immigrazione candida i Cinque Stelle all’alleanza con il Carroccio di Salvini: ma dettando loro le condizioni. E su altri temi potrebbe emergere una convergenza con frammenti di una sinistra in embrione, alternativa al Pd.
A.B.
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