Trecento chilometri di alta velocità fra Eilat e Ashdod per collegare il Mar Rosso al Mar Mediterraneo ovvero l’ Asia all’Europa.
E’ il progetto «Red-Med», promosso da Pechino e varato da Gerusalemme, ad alzare il velo sulla strategia cinese per il «West Asia». «West Asia» è il termine che la «China Shipg Container Lines» adopera per descrivere l’ area di operazioni fra Hormuz, Suez e Haifa.
L’agenda di Wang è assai prudente sulle crisi in atto – nucleare iraniano, Siria, negoziato sul Medio Oriente – preferendo dedicarsi a posizionare i tasselli di una vasto disegno economico: dalla realizzazione a Nanxun di un parco tecnologico israeliano alla ricostruzione del porto iraniano di Chabahar, dalla decisione della «United Arab Shipping Company» di investire 1,4 miliardi di dollari per diventare la più grande compagnia di container del mondo stringendo la cooperazione con la «China Shipping Container Lines» fino a una ferrovia egiziana ad alta velocità per collegare Hurgada, Luxor e Cairo ad Alessandria.
Come spiega un recente studio del Centro di ricerche in Affari Internazionali di Herzliya, ciò che distingue la proiezione cinese verso il «West Asia» sono «gli investimenti nelle infrastrutture»: porti per l’import-export di merci e ferrovie veloci per creare una via di trasporto alternativa capace di continuare a funzionare se una violenta crisi dovesse portare a bloccare il Canale di Suez o gli Stretti di Hormuz. Se gli Usa dalla crisi del 1973 hanno protetto le proprie rotte petrolifere con l’Us Navy, Pechino vuole garantirsi il fabbisogno energetico con una imponente rete di ferrovie veloci. Si spiega così la strategia della «New Silk Road» – Nuova Via della Seta – che ha visto le forze armate cinese investire nelle linee veloci interne consentendo a Pechino di firmare nel 2010 con Teheran l’accordo per una tratta attraverso l’Asia Centrale destinata a raggiungere Istanbul e infine Londra e puntando a realizzare entro 10 anni un avveniristico «Orient Express» capace di viaggiare da Pechino alla Manica in due notti.
La ferrovia euroasiatica attraverserà almeno 28 Paesi, estendendosi lungo 81 mila km ricorrendo all’alta velocità della Shangai-Nanchino, 350 km orari, per collegare via terra la Cina al trampolino commerciale del «West Asia». La ferrovia Luxor-Alessandria si presenta in tale ottica come un’infrastruttura aggiuntiva per assicurare alle merci «Made in China» l’accesso all’Africa così come quella Eilat-Ashdod svolgerà la stessa funzione verso il Mediterraneo.
Si spiega così la determinazione con cui Netanyahu punta a realizzare in fretta il tratto attraverso il Negev, affrontando una spesa di 2 miliardi di dollari in cinque anni con l’obiettivo di iniziare i lavori entro i prossimi 12 mesi. «È la prima volta che saremo in grado di aiutare le nazioni di Europa ed Asia a tenere sempre aperto un canale commerciale» afferma Netanyahu, che ne avrebbe già discusso con re Abdallah l’estensione alla città giordana di Aqaba, rendendo così possibile anche un futuro collegamento con la rete saudita. «Per la Cina questo significa poter contare fra pochi anni in una linea di terra alternativa al Canale di Suez – spiega l’ex diplomatico israeliano Oded Eran in servizio al Centro di studi strategici di Tel Aviv – sul quale incombono crescenti minacce a causa del rafforzamento dei terroristi salafiti nel Sinai ed all’instabilità dell’Egitto».
Ma non è tutto, perché lì dove i piani ferroviari non riescono ancora ad arrivare, la Cina pensa ad altre infrastrutture. Per capire di cosa si tratta bisogna guardare a Halfaya, il capo petrolifero iracheno gestito dalla China National Petroleum Corp dove per i tecnici cinesi è stato costruito un mega-residence con tanto di lago artificiale, dove andare con barca a vela e rilassarsi.
Articolo da La Stampa
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