“Se lasciare il mio posto è la soluzione, non esiterò a farlo”. Lo ha detto ieri il presidente siriano Bashar al-Assad in un’intervista al canale iraniano Khabar TV.
Intanto sul campo continuano i bombardamenti russi. Ieri le agenzie di stampa di Mosca hanno annunciato trionfali raid sulla periferia di Raqqa, la “capitale” dell’ISIS, e la fuga di almeno tremila militanti verso la Giordania.
Sotto pressione – se non addirittura in ritirata – i jihadisti hanno ripreso a vendicarsi sul patrimonio culturale dei territori occupati, facendo saltare l’arco di trionfo di Palmira.
Quella del rais è un’apertura inedita, che potrebbe rilanciare i negoziati internazionali intorno alla guerra civile. Ma nel seguito dell’intervista Assad ammonisce: “Non ci può essere una soluzione politica”, e quindi la guerra continuerà, “finché ci saranno stati che continueranno a sostenere il terrorismo”.
È un attacco all’occidente, che secondo il presidente “spara ai rifugiati siriani con una mano e con l’altra dà loro da mangiare”. Poi Assad ripete una lezione sulla sua personalissima nozione di “terrorismo”: “I maggiori leader terroristi in Siria e Iraq sono europei”, dichiara; anzi, il terrorismo sarebbe “un nuovo strumento usato dall’Occidente per soggiogare la regione”, il che rende urgente “impedire che altri paesi cadano sotto l’egemonia occidentale”.
Nel merito, il rais critica la campagna di bombardamenti portata avanti da USA e alleati: “Dopo più di un anno, non vedo i risultati. Anzi. Il terrorismo ha registrato un’espansione geografica e il numero di reclute in questi gruppi è aumentato”.
Preoccupazioni senza dubbio strumentali, ma non per questo meno veritiere. Oggi il New York Times pubblica un’inchiesta sulle spese pazze dell’amministrazione USA per le campagne di addestramento militare portate avanti in tutto il Medio Oriente, in particolare in Siria, Iraq e Afghanistan. Il giudizio del quotidiano newyorchese è secco: sono “fallimentari”.
“In Siria – si legge nell’articolo – il mezzo miliardo di dollari speso per il programma di addestramento dei ribelli locali per combattere i jihadisti è servito solo per un piccolo gruppo di 4-5 persone”.
Prevedibilmente, la speranza di Assad è riposta nella campagna della coalizione Russia-Iran-Iraq promossa dall’amico e alleato di lunga data Vladimir Putin.
Ieri i bombardieri di Mosca hanno colpito la città di al-Tabqa, nella provincia di Raqqa, distruggendo un campo d’addestramento e un deposito di munizioni dell’ISIS. Lo ha dichiarato Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa.
L’agenzia RIA Novosti, citando fonti militari di Latakia – la città portuale dove la Russia gestisce una base militare che ospita in permanenza la sua flotta mediterranea – ha annunciato altri raid a Homs e Palmira che avrebbero ucciso almeno 17 militanti. Più gravi le perdite inflitte ai jihadisti da un attacco di terra dell’esercito regolare fedele al regime nella provincia di Deir Ezzor: qui i morti sarebbero circa 160. Stamattina, poi, gli abitanti di Hama sarebbero stati avvertiti con un lancio di volantini dell’imminente inizio di un’offensiva di terra.
Sempre le agenzie russe riferiscono che l’intensificarsi dei bombardamenti avrebbe spinto circa tremila militanti a scappare dalla Siria in Giordania. I fuggiaschi apparterrebbero a formazioni armate di diversa estrazione: oltre all’ISIS ci sarebbero qaedisti di Jabhat al-Nusra (“Fronte della vittoria”) e filo-democratici dell’Esercito di Yarmuk, un gruppo affiliato all’Esercito siriano libero, la coalizione finanziata dagli USA.
La notizia della distruzione dell’arco di trionfo di Palmira – data da Maamoun Abdulkarim, direttore delle Antichità di Damasco – testimonia la pressione che la campagna russa ha messo ai jihadisti. Dopo aver raso al suolo monumenti di carattere religioso – i mausolei, il santuario di Baal Shamin e il tempio di Bel – e aver ucciso il sovrintendente Khaled al-Asaad, ora l’ISIS, avverte Abdulkarim, ha minato anche le strutture civili più note, dall’arco al colonnato e all’anfiteatro. Probabilmente i jihadisti le useranno come moneta di scambio per ricattare l’Occidente.
Intanto la politica di colpire indiscriminatamente tutti gli avversari del regime di Assad ha scatenato la protesta del premier britannico David Cameron. L’uomo di Downing Street è comparso alla BBC per esortare Putin a “cambiare direzione” e smettere di “sostenere il macellaio Assad”. La campagna della coalizione a guida russa, sostiene Cameron, lascerà alla Siria un’eredità di instabilità e tensione. Il premier ha anche annunciato di aver deciso di raddoppiare il numero di droni impiegati dalla RAF contro l’ISIS.
Critico con Putin si è mostrato anche il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ha definito “inaccettabili” i bombardamenti e si è detto preoccupato del rischio che la Russia diventi una “presenza ostile” nel teatro mediorientale.
Oggi Ankara ha convocato l’ambasciatore russo Andrej Karlov per protestare formalmente contro una violazione dello spazio aereo :sabato un jet avrebbe sconfinato sopra la provincia di Hatay.
Filippo M. Ragusa
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