Che ne sarà di noi dopo la strage di Parigi? All’indomani degli attentati, che hanno ucciso almeno 128 persone, il lessico più usato è quello della guerra. “La nostra lotta sarà senza pietà”, promette il presidente della Repubblica francese François Hollande, che ha descritto gli attacchi come “un atto di guerra commesso da un esercito di terroristi”. E di un “atto di guerra” parla anche il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve.
Chi ha più da guadagnare da un’escalation militare della questione, però, è l’ISIS. Un’invasione da parte di una potenza straniera, tanto più se ha un passato coloniale ingombrante come la Francia, permetterebbe ai jihadisti di ridipingere se stessi come il baluardo di difesa dei popoli arabi contro l’Occidente prepotente e guerrafondaio. Senza allontanarsi troppo nella storia e rimanendo nei confini degli ex protettorati francesi, basta osservare quanto bene ha fatto alle fortune di Hezbollah l’invasione israeliana del Libano, nel 2006. D’altra parte è evidente che per le ragioni della propaganda non importa minimamente chi abbia colpito per primo né perché.
La Francia deve valutare con attenzione il precedente storico delle guerre dichiarate dagli USA dopo l’11 settembre, che al Medio Oriente non hanno lasciato in eredità né la democrazia (che continua a mancare) né la stabilità (che le feroci dittature di un tempo, a prezzo altissimo e ingiusto, assicuravano).
Nel caso specifico del Califfato, poi, si rischia pure che un’invasione finisca per dare ragione e sostanza alle fosche profezie diffuse dai jihadisti a proposito di una “guerra totale” contro gli infedeli.
Secondo le ultime indiscrezioni della BBC, gli attentatori sarebbero stati una cellula autonoma composta da reduci della guerra civile siriana. Già ieri si era detto del ritrovamento di un passaporto siriano sul corpo di un miliziano allo Stade de France. Oggi diversi commentatori, tra cui Daniel Nisman, hanno fatto notare che se un terrorista aspirante suicida ha un documento addosso, probabilmente vuole che sia trovato.
Altri hanno studiato a fondo la metodologia dell’operazione terroristica – attacchi simultanei e coordinati, condotti da pochi attentatori contro luoghi affollati di civili, in più parti della città – e l’hanno trovata simile a quella degli attentati del 2008 a Mumbai, in India.
Dopo gli attentati, il presidente della Repubblica francese François Hollande ha proclamato lo stato d’emergenza e reintrodotto i controlli alle frontiere. Hollande, per la verità, in conferenza stampa aveva parlato di “frontiere chiuse”; la precisazione dall’Eliseo è arrivata solo a notte inoltrata.
Lo stato d’emergenza dà poteri eccezionali ai prefetti: ora possono istituire il coprifuoco, introdurre divieti di soggiorno e di circolazione, chiudere luoghi aperti al pubblico, intervenire nel controllo della stampa o estendere alle autorità amministrative o militari le prerogative che in tempi ordinari spettano a quella giudiziaria, come il diritto di sottoporre i cittadini a perquisizioni. Dura fino a dodici giorni, a meno che nel frattempo il Parlamento non approvi una legge che ne prolunga il mandato. L’ultima volta è stato proclamato dall’allora presidente Jacques Chirac nel 2005, durante la rivolta delle banlieue.
Merita un approfondimento anche la chiusura delle frontiere, se non altro perché l’Eliseo ha dovuto pubblicare una nota per precisare quanto detto a caldo dal presidente. I trattati di Schengen permettono ai paesi che li sottoscrivono – è il caso della Francia – di reintrodurre i controlli anche senza il via libera degli altri membri e della Commissione UE, se una “minaccia grave per l’ordine pubblico o per la sicurezza interna” richiede un’azione immediata.
In realtà, la ripresa dei controlli era stata già decisa in vista del vertice internazionale sul clima, in programma a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre.
È per questo che la Francia ha imposto la chiusura del traforo del Monte Bianco, riaperto stamattina, e ha imposto al personale di sicurezza degli aeroporti di applicare anche ai voli interni alla UE gli stessi standard di controllo riservati di solito ai voli extracomunitari. Questo ha provocato indubbiamente disagi ai viaggiatori, rimasti in coda per ore, e ha convinto le compagnie aeree a prendere provvedimenti d’emergenza: l’unica compagnia che ha fermato del tutto i voli da e per Parigi è stata American Airlines, ma anche altre, che pure hanno assicurato i loro servizi, consentono ai viaggiatori di annullare le prenotazioni senza pagare penali. “Gli aeroporti continuano a funzionare – ha precisato il ministero dell’Interno – e i collegamenti aerei e ferroviari sono assicurati”.
L’Italia è stata finora risparmiata dai terroristi, ma non è un’isola felice. Meno di una settimana fa la Procura di Roma annunciava di aver sgominato una cellula di jihadisti che si procuravano armi e reclute proprio nel nostro paese, anche se progettavano di colpire altrove. D’altronde, Roma fa parte dell’elenco dei prossimi bersagli citati nel comunicato con cui l’ISIS ha rivendicato l’attentato.
Il Viminale è preoccupato anche per l’imminente apertura del Giubileo della Misericordia, che inizierà il prossimo 8 dicembre e accenderà su Roma riflettori ancora più potenti del solito.
Il ministro Angelino Alfano ha spiegato alla stampa di aver elevato il grado di allerta al secondo livello: il massimo consentito dalle circostanze, dato che il primo è riservato a quando c’è un attacco in corso. Anche al secondo livello di allerta, comunque il ministero dell’Interno può impiegare i corpi speciali dell’Esercito.
Filippo Maria Ragusa
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