Prosegue l’iter per la costituzione della “bad bank” italiana. L’idea è quella di costituire un istituto che rilevi i crediti incagliati delle banche le quali, alleggerite dalle somme inesigibili, potranno investire nuovamente e garantire prestiti ai cittadini. Un sistema, questo, già sperimentato in diversi paesi europei, i cui risultati, però, non sono stati sempre positivi. Sul lavoro dei tecnici italiani restano, inoltre, accesi i riflettori delle istituzioni europee. Ieri, durante l’audizione alle commissioni Industria, attività produttive e politiche Ue di Camera e Senato, riunite, la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager ha chiarito che “la bad bank può essere realizzata con o senza aiuti di Stato. Spetta all’Italia scegliere la modalità”. Nel momento in cui, però, verrà istituita “occorre imporre la condizione della ristrutturazione perché si stanno utilizzando i soldi dei contribuenti”. “Ci piacerebbe – ha spiegato Vestager – che non vengano utilizzati i soldi dei contribuenti. Se si trasferisce un prestito non ripagato a qualcuno che può assumere un rischio maggiore, allora il costo aumenta e quel prezzo deve essere valutato a valore di mercato”. Beninteso, però, che la differenza, qualora non sia a valore di mercato, “non sia il contribuente” a pagarla. Dalla sua, l’Italia sta valutando soluzioni per evitare gli aiuti pubblici e, quindi, scongiurare il ‘bail in’, ovvero quel meccanismo di salvaguardia che implica una contribuzione da parte di dententori di titoli o dei correntisti sopra i 100mila euro nelle banche beneficiarie degli aiuti. Per quanto Vestager sia ottimista circa la soluzione da identificare, non ci si sbilancia sulle tempistiche: “entro il 2015? Non posso ipotizzare date. Spero si proceda velocemente ma dipende dalla situazione economica e dal portafoglio dei crediti deteriorati”. “Nel corso del colloquio – si legge nella nota diffusa al termine dell’incontro tra il commissario Ue e il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan – sono stati valutati positivamente i progressi sui diversi dossier condivisi tra le due istituzioni, e in particolare quelli relativi alla gestione dei crediti in sofferenza, al recepimento della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche e in generale alla gestione delle crisi bancarie e al ruolo che in esse può avere il fondo di garanzia dei depositi”. Questa girandola di incontri, però, accadeva nella concomitanza del via libera dato dal Cdm al sistema armonizzato nell’Unione europea per affrontare le crisi bancarie, che scatterà nel gennaio 2016. Obiettivi sono quelli di salvaguardare la stabilità finanziaria, evitando crisi, interventi statali e – quindi – dei contribuenti nel salvataggio delle banche in dissesto. Le norme attualmente vigenti, prevedono che gli istituti bancari possano essere sottoposte solamente a liquidazione coatta amministrativa. Con il pacchetto presentato ieri, invece, le autorità potranno intervenire anche con altri sistemi, come la vendita di una parte dell’attività a un soggetto privato. Vengono previste la ‘bridge bank’, un trasferimento temporaneo di attivi e passivi mentre si attende la vendita; la bad bank e il bail-in. Ovviamente, dopo l’ok di ieri il provvedimento tornerà al parlamento nell’attesa del via libera definitivo del Governo, però questo profila una serie di soluzioni che suggeriscono interventi concreti e precisi allo scopo di mettere in campo subito sistemi che tutelino il credito privato. Il “bail-in” si ispira al principio di responsabilità, e in virtù di questo, Bankitalia – che già può rimuovere amministratori che stanno portando al dissesto le banche – può coinvolgere i capitali di azionisti e correntisti a copertura delle perdite. Il rischio dunque è che un medio risparmiatore debba trovarsi a coprire le scelte sbagliate di qualcun altro mettendo mano al proprio portafoglio.
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