Come moltissimi obbligazionisti, anche il ministro Maria Elena Boschi avrebbe “fatto a meno” di dovere far fronte alla vicenda Banca Etruria. Così, ai microfoni di Otto e Mezzo, l’esponente del governo Renzi torna su uno dei temi caldi delle ultime settimane.
“Se mio padre venisse indagato? Non ci sarebbe nessun impatto su di me”, ha aggiunto riaffermando l’assenza di conflitti di interessi.
Si tratta di “un’indagine” e non di “una sentenza di condanna”, ha aggiunto, ribadendo che “mio padre ritengo sia una persona perbene che ha accettato quell’incarico pensando di poter dare una mano, su questo non ho dubbi. Se poi dovesse avere delle responsabilità dovrà pagare come tutti. Forse lui, che ha già pagato, è uno dei pochi che ha pagato”.
Non cambia, dunque, la linea difesa dall’intervento sostenuto in Aula alla Camera nelle scorse settimane e, anzi, ribadisce che “il governo ha fatto ciò che era giusto fare” sulle banche ‘salvate’ e che da quel punto di vista “siamo molto tranquilli”.
“Siamo intervenuti con urgenza su queste quattro banche, non si poteva fare altrimenti – ha spiegato ancora – Siamo intervenuti oggi perché chi ha avuto responsabilità di ministro in passato, vedi Passera, non è intervenuto. Se invece fosse intervenuto forse oggi la situazione sarebbe stata diversa”.
Posizioni che, per quanto note, vanno a rinforzare le dichiarazioni rilasciate, nei giorni scorsi, al Corriere della Sera, in cui il ministro bollava la proposta di fusione di Banca Etruria con la Popolare di Vicenza, partita dal vecchio cda dell’istituto aretino, come un’operazione che avrebbe prodotto “un danno enorme ai correntisti veneti e quelli toscani”. Eppure, la mancata fusione avrebbe aggravato la situazione di Banca Etruria, almeno stando alle valutazioni di Banca d’Italia. Secondo Palazzo Koch infatti, è stato un errore dei vecchi vertici dell’istituto toscano quello di non procedere a una unione delle due realtà creditizie.
Un commento, quello di Boschi, che non convince innanzitutto la sinistra: “non mi sembra né consigliabile né opportuno che un ministro si esprima oggi, ad un anno di distanza, su una aggregazione bancaria che spettava allora al Consiglio di amministrazione della banca in cui sedeva suo padre”, ha dichiarato il senatore Miguel Gotor.
“Se è vero che nella posizione del ministro non si configura alcun conflitto di interesse, mi permetto in ogni caso di suggerire almeno maggiore disinteresse, presente e futuro nell’intervenire su vicende relative alla Banca Etruria, mentre sono ancora in corso indagini della magistratura che è bene proceda nella più totale autonomia e senza indebite pressioni”.
E se la polemica politica non accenna ad attenuarsi, non si arrestano nemmeno le inchieste e le indagini che le autorità stanno portando avanti sulla vicenda Etruria. In particolare le interconnessioni che si vanno delineando dopo le perquisizioni condotte dagli uomini della Guardia di Finanza di Arezzo in quattordici società riconducibili all’ex presidente di Banca Etruria, Lorenzo Rosi.
Le aziende in questione avevano ricevuto linee di credito da parte di banca Etruria, risultate poi essere “affidamenti deteriorati” e, quindi, responsabili di quel buco miliardario che ha poi travolto la banca.
Tra queste società, anche la coop Castelnuovese, aderente alla Legacoop, e guidata dallo stesso Rosi per 19 anni, fino al 2014, mentre ricopriva anche ruoli all’interno di Banca Etruria. La coop in questione si occupa di grandi opere e, tra queste, anche della costruzione di centri commerciali. Tra questi il noto The Mall, ad Arezzo, ideato con Andrea Bacci – finanziatore di Matteo Renzi e socio del padre del premier, Tiziano -, la socia dello stesso Renzi Senior, Ilaria Niccolai, e i Moretti-Lebole.
Stando ad alcune ricostruzioni, la Castelnuovese è in prima fila nel settore outlet: è del 2007 l’avventura abruzzese del Sant’Angelo Outlet Village, il cui completamento è previsto per il 2020 e la cui realizzazione è stata possibile proprio grazie a una linea di credito garantita da una cordata di banche tra cui Monte dei Paschi di Siena e Banca Etruria che avrebbero anticipato finanziamenti per almeno 80 milioni da restituire a rate. Rate che tra il 2012 e il 2015, ad eccezion fatta per la prima tranche, non sarebbero state mai versate.
Da ricordare che nelle sue ispezioni presso la sede dell’Etruria, Banca d’Italia ha fotografato, nella pesante situazione debitoria dell’istituto di credito aretino, 198 posizioni di fido aperte da parte di ex amministratori ed ex sindaci della stessa banca, per un valore complessivo di oltre 185 milioni di euro, molti dei quali risultati deteriorati ed inesigibili. In un momento tanto delicato per la banca, dove le sofferenze ammontavano a 2 miliardi di euro, i vertici spesero circa 30 milioni tra consulenze esterne e compensi di consiglieri e sindaci.
Un sistema che è stato gestito in modo tanto irragionevole da creare crepe così insanabili da far collassare una intera banca. Sebbene, a dire di qualcuno, le intenzioni fossero le migliori.
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