Bretton Wood non parla più americano ma cinese ed il rischio di canbiamenti climatici profondi e duraturi nei cieli dellla finanza internazionale non piace a Washington. E questo per una ragione abbastanza evidente: la scelta di Francia, Germania e Italia di aderire, dopo la Gran Bretagna, all’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) la superbanca mondiale varata da dai cinesi che, oltre ad essere un istituto di credito con sede a Pechino rappresenta una autentica sfida a distanza agli Usa, alla Banca mondiale e agli accordi stessi di Bretton Woods che sancirono settant’anni fa la supremazia del dollaro sui mercati del l’intero pianeta.
Stando alle rivelazioni del Financial Times, l’AIIB rappresenta una alternativa vera e propria all’istituto di Washington – da sempre guidato da un americano – e all’Asian Development Bank, sponsorizzata a sua volta dagli States.
L’istituto cinese a giudizio degli esperti punterebbe ad attrarre investimenti internazionali per lo sviluppo infrastrutturale di trasporti e reti di telecomunicazioni. Sulla carta – ma solo su quella – non dovrebbe impensierire un colosso come la Banca Mondiale e lo stesso Fondo monetario internazionale,ma gli Usa non si fanno illusioni ed il segretario del tesoro statunitense, Jack Lew, ha ammesso che la “credibilità e l’influenza internazionale” dell’America è sotto la minaccia della Cina. “Per preservare il nostro ruolo di leadership al Fondo monetario – ha dichiarato – è essenziale che le riforme siano approvate. L’alternativa sarà una perdita dell’influenza degli Stati Uniti e della nostra abilità di dare forma a norme e regolamenti internazionali”.
Lew ha anche chiarito che il governo non si è opposto alla creazione dell’Aiib e ha riconosciuto l’esigenza di investimenti nelle infrastrutture di quel genere in Asia. Ha tuttavia aggiunto anche che la nuova banca di Pechino potrebbe non avere “il più alto standard globale” quanto a governance o prestiti. Una posizione che, per quanto legittima e legittimata dalla lezione imparata con la crisi generata dell’erogazione indiscriminata di prestiti, non convince così tanto, visto che sulla bilancia c’è il ruolo di primo attore nelle dinamiche finanziarie e di mercato mondiale.
Per quanto riguarda l’Italia, la spiegazione della scelta di diventare un membro fondatore viene data direttamente dal Ministero dell’Economia. Il Mef, in una nota, spiega che “AIIB, quale nuova banca d’investimento che lavorerà con le banche multilaterali di sviluppo e di investimento esistenti, può svolgere un ruolo di rilievo nel finanziamento dell’ampio fabbisogno infrastrutturale dell’Asia. In questo modo, la AIIB promuoverà lo sviluppo economico e sociale nella regione e contribuirà alla crescita mondiale”.
L’Italia, con anche Francia e Germania, “operando in stretto raccordo con i partner europei e internazionali, intendono lavorare con i membri fondatori della AIIB per costruire un’istituzione che segua i migliori principi e le migliori pratiche in materia di governo societario e di politiche di salvaguardia, di sostenibilità del debito e di appalti”.
L’Ue, anche grazie alle politiche di allentamento quantitativo avviate dalla Banca Centrale, inizia a vedere muoversi il flusso del credito, aprendo le strade a nuove possibilità di investimento rimaste nei cassetti proprio per via della poca liquidità legata alle politiche di austerità.
Dall’altro lato, la Cina deve mantenere il tasso di crescita annuale elevato e comunque sopra le soglie minime tali da garantire un percorso di sviluppo costante del Paese.
E proprio la scelta di Paesi con una economia cospicua di spostare interessi economici in mercati più giovani e con aree che hanno necessità di investimenti spaventa gli Usa, il cui mercato interno sta rafforzandosi proprio dopo il tonfo del 2008.
I paesi europei vanno a fare compagnia agli altri 21 già presenti nel novero della banca asiatica. Bangladesh, Brunei, Cambogia, Cina, Filippine, India, Kazakhstan, Kuwait, Laos, Malaysia, Mongolia, Myanmar, Nepal, Oman, Pakistan, Qatar, Singapore, Sri Lanka, Thailandia, Uzbekistan e Vietnam sono già riunite sotto l’ombrello dell’Istituto, il cui capitale disponibile dovrebbe arrivare a cifre da 11 zeri. Una cifra tale da garantire uno sviluppo più che intensivo di tutta l’area asiatica.
Ancora fuori dal capitale, Giappone, Corea del Sud e Australia. E se Tokio rimarrà fuori da AIIB per via delle sue partecipazioni in Asian Development Bank, Seul e Canberra potrebbero sciogliere le riserve e scegliere o rivalutare l’ingresso in questa realtà.
Il Financial Times non ha usato mezzi termini nel definire la decisione dei Paesi Ue una “significativa sconfitta per l’amministrazione Obama”. Per l’ex capo del dipartimento cinese del FMI, Eswar Prasad, “quando gli Stati Uniti esercitano una leadership ma falliscono nel portarla a compimento, questo crea una marginalizzazione della sua influenza”. Vedere “vecchi giocatori” come Gran Bretagna o Germania corrano a “prostrarsi” davanti alla Cina “è certamente un segno di un nuovo ordine mondiale”.
Più possibilista Ted Truman, ex assistente segretario al Tesoro, che ha definito un errore tattico quello di non aderire all’AIIB. “Se si vogliono influenzare – gli standard di prestito della banca ndr – si dovrebbe essere all’interno della tenda, piuttosto che fuori”.
L’autocritica di Truman è più aggressiva: “Gli States in qualche misura stanno ritirandosi dal mondo, ed è vero che il nostro ruolo andrà ad assottigliarsi. E per noi accettarlo è difficile”, ha detto.
La Cina sta cogliendo l’occasione dell’inatteso successo di adesione al suo progetto di ‘Banca Mondiale cinese’, per riequilibrare a proprio favore i rapporti con Washington. Dopo la notizia che Gran Bretagna, Italia, Francia e Germania, per citare solo gli alleati principali dell’America in Europa, hanno aderito al progetto, il vice ministro delle finanze Shi Yaobin ha detto al quotidiano economico-finanziario tedesco Handelsblatt che “gli Usa sarebbero i benvenuti se si unissero alla Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB)”, considerata dall’amministrazione Obama una rivale sia della Banca Mondiale di Washington che della Asian Developmente Bank, di cui i principali azionisti sono Usa e Giappone. Shi ha definito del tutto ingiustificata l’ostilita’ Usa al progetto: “La AIIB non competera’ con la Banca Mondiale ma piuttosto giochera’ un ruolo di sostegno per altre istituzioni internazionali”. Gli Usa non hanno nascosto la loro irritazione per l’adesione dei partner europei, sostenendo che ogni Paese e’ sovrano nelle sue scelte ma che avrebbero quanto meno potuto attendere l’inizio delle attivita’ dell’AIIB, verificandone il funzionamento, prima di entrare a farne parte. Ma gli europei non hanno voluto lasciarsi sfuggire l’occasione di entrare nella AIIB prima del 31 marzo, scadenza fissata dal presidente Xi Jinping, per quanti avessero voluto aderire con lo status di membri fondatori dell’istituzione.
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