Najim Laachraoui si poteva arrestare due anni fa. Contro l’artificiere di Molenbeek, che ha confezionato esplosivi per gli attentati jihadisti a Parigi e a Bruxelles, dove si è immolato, la magistratura belga aveva emesso un mandato di arresto già il 18 marzo 2014.
Di lui le autorità sapevano molto: il gruppo di cui faceva parte, il modo in cui era stato reclutato, i viaggi che organizzava per aspiranti foreign fighter in Siria e di ritorno in Europa. La sua cellula era sotto osservazione dal 2012, e il mandato di cattura descrive con dovizia di particolari gli spostamenti dei componenti, a Bruxelles e lungo la rotta che portava in Siria, dove stava nascendo l’ISIS.
Il fatto che non siano riusciti a fermarlo, anche conoscendo tutti questi dettagli, prova le mancanze della macchina di sicurezza europea. Mancanze che hanno trovato un altro esempio in un’indiscrezione pubblicata oggi da La Dernière Heure: la polizia di Mechelen, nel nord fiammingo del Belgio, conosceva da dicembre scorso l’indirizzo del nascondiglio di Salah Abdeslam, ma il rapporto segreto non è mai arrivato a Bruxelles, all’antiterrorismo della Polizia federale. Segno che i problemi di comunicazione delle forze dell’ordine belghe non sono limitati all’ambito internazionale: solo da qualche settimana, quando si è iniziato a stringere il cerchio intorno all’appartamento di rue des Quatre Vents a Molenbeek, Bruxelles ha svelato i nomi dei sospetti jihadisti alle altre procure europee per far luce sui loro spostamenti e sui loro contatti con altre reti note.
Intanto l’Olanda ha detto la sua sulla vicenda di Ibrahim el-Bakraoui, il terrorista che insieme a Laachraoui si è fatto esplodere nell’aeroporto di Zaventem, arrestato in Turchia nel 2015 ed estradato nei Paesi Bassi anziché in Belgio. Secondo Ankara, Bakraoui sarebbe stato espulso due volte, a luglio e agosto, perché sospettato di essere un foreign fighter: non aveva commesso alcun reato sul suolo turco, ma aveva provato ad attraversare la frontiera per andare in Siria. Per il ministro della Giustizia di Amsterdam, Ard van der Steur, l’uomo sarebbe arrivato nei Paesi Bassi una volta sola, a luglio, e non sarebbe stato trattenuto perché “non era presente in nessuna lista di ricercati, olandese o internazionale”. “Allora non era noto per terrorismo”, ha detto ieri il suo omologo belga Koen Geens, “ma era un criminale comune in libertà condizionata”.
Travolti dalle critiche, Geens e il collega dell’Interno Jean Jambon hanno presentato le dimissioni, ma il primo ministro Charles Michel le ha respinte. Il ministro della Giustizia ha riconosciuto che la trasmissione delle “informazioni provenienti dalla Turchia” non è stata “sufficientemente rapida”, “anche a livello belga”. Sui fatti, secondo quanto sostiene la stampa belga, indagherà una commissione d’inchiesta. Lo stesso Michel ha promesso di fare di tutto “pur di fare piena luce sull’accaduto”.
Oggi il premier ha annunciato che i caccia belgi riprenderanno a bombardare le postazioni dell’ISIS in Siria. Nel frattempo nel paese l’allarme è sceso dal quarto – il massimo – al terzo livello: la minaccia è passata da “grave e imminente” a “possibile e verosimile”.
La persona arrestata ieri in Francia, in un blitz definito “importante” ad Argenteuil, alla periferia nord di Parigi, è stata identificata come Reda Kriket. Contrariamente a quanto aveva detto in un primo momento il ministro dell’Interno transalpino Bernard Cazeneuve, è legato alla cellula di Molenbeek: aveva organizzato una trasferta in Siria di Abdelhamid Abaaoud, la mente degli attentati a Parigi dello scorso 13 novembre, e insieme a lui era stato condannato a 10 anni di prigione in contumacia in Belgio. In casa sua ad Argenteuil sono stati ritrovati esplosivi: secondo la polizia francese era intenzionato a usarli a Parigi, ed era arrivato allo “stadio avanzato” dell’organizzazione dell’attacco.
Sono sei, invece, i fermi da convalidare dopo il blitz di ieri pomeriggio nella zona di Ixelles, un quartiere multietnico di Bruxelles. Le operazioni si sono prolungate fino a tarda sera. Testimoni affermano di aver sentito anche un’esplosione.
In Germania – per la precisione a Giessen, in Assia – è stato arrestato un altro uomo, un cittadino marocchino di 28 anni con precedenti penali in Italia e Germania, su cui pende il divieto d’ingresso nell’area Schengen. Secondo Der Spiegel, sul suo cellulare sarebbero stati trovati due messaggi che suggerirebbero un suo legame con la cellula di Molenbeek, ma la polizia federale tedesca si è rifiutata di commentare.
La stampa spagnola, subito ripresa da quella belga, ha diffuso nome e foto segnaletica di un suo coetaneo siriano, di nome Naim al-Hamed, sospettato di essere a sua volta coinvolto negli attentati in Francia e Belgio. È descritto come “molto pericoloso” e “forse armato”.
Intanto Le Monde ha pubblicato le prime indiscrezioni sugli interrogatori di Salah Abdeslam, sentito dagli inquirenti belgi lo scorso 19 marzo, un giorno dopo l’arresto a Molenbeek. Il terrorista – unico superstite del commando che aveva colpito a Parigi a novembre – sostiene che tutte le responsabilità degli attentati a Parigi vadano attribuite ad Abaaoud. D’altra parte, sostiene anche di non conoscerlo, o di averlo conosciuto solo nei giorni immediatamente prima della strage, anche se esistono prove schiaccianti che i due si frequentassero già da bambini, quando vivevano entrambi a Molenbeek.
Abdeslam conferma di aver noleggiato le auto usate per gli spostamenti e prenotato le stanze d’albergo a Parigi. Glielo avrebbe chiesto suo fratello, Ibrahim, che si è immolato al Comptoir Voltaire. Dopo aver fatto da autista, Salah Abdeslam si sarebbe dovuto far esplodere allo Stade de France, dov’era in corso l’amichevole tra Francia e Germania. Ma nel momento in cui ha fermato la macchina gli sarebbe scattato qualcosa in mente.
Ho fatto scendere i miei tre passeggeri, poi sono ripartito. Ho guidato alla cieca, mi sono fermato da qualche parte, non saprei dove. Ho chiuso l’auto, ho portato via la chiave e sono rientrato nella stazione Montrouge. Ho fatto qualche fermata di metro, una o due. Sono sceso, ho camminato fino a un negozio di telefoni, ne ho comprato uno e ho contattato una sola persona: Mohammed Amri.
Amri – insieme a Hamza Attou – è il suo amico che lo ha nascosto nel bagagliaio e riportato a Molenbeek, dove Abdeslam si è rifugiato a casa di un cugino, Abid Aberkan, anche lui fermato il 18 marzo scorso.
Non avevo un altro posto dove andare. Abdel non è stato contento di vedermi arrivare. Gli ho spiegato che non ero riuscito a farmi saltare in aria, mi ha consolato e poi mi ha detto che mi avrebbe tenuto nascosto fino a quando non avessi potuto andare in un altro posto sicuro.
“Abdel” è un diminutivo – sconosciuto in arabo, ma Abdeslam come lingua madre parla francese – usato per svariate decine di nomi. In questo caso potrebbe indicare Aberkan o essere un nome di battaglia scelto da Mohammed Belkaid, il suo complice rimasto ucciso a Forest il 15 marzo scorso.
Abdeslam avrebbe dovuto partecipare agli attentati di Bruxelles, che all’inizio erano in programma per il lunedì di Pasquetta. Nello specifico, avrebbe fatto parte di un gruppo di fuoco incaricato di sparare sulla folla in preda al panico, così com’era avvenuto a Parigi. La morte di Belkaid e l’arresto degli altri membri della pattuglia, Abdeslam e Amine Choukri, oltre a convincere i complici ad accelerare l’esecuzione degli attentati, hanno privato la squadra dei suoi tiratori, evitando se non altro che il bilancio fosse ancora più grave.
Filippo M. Ragusa
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