“È essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale”. Una sentenza che sembra avere le sembianze di un messaggio politico, quella della Cassazione che ieri sera ha respinto il ricorso dell’indiano sikh di Mantova, arrestato nel 2013 perché usciva di casa portano il kirpan (coltello di circa 18 centimetri) alla cintura, insieme al turbante, come simbolo religioso.
Se il giudice si fosse limitato alla condanna e alla multa di 2.000 euro, probabilmente non sarebbe scoppiato il polverone né la sentenza sarebbe rimbalzata su tutti i giornali. Ma il fatto è questo: in Italia, girare armati è reato, a meno che non sia per ragioni di servizio e con regolare registrazione. Perché quindi la Suprema Corta ha scelto di fare appello a un concetto di così difficile definizione e non ascrivibile alla sfera giuridica come i “valori culturali”?
Inoltre, spiega al Corriere l’avvocato milanese dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Alberto Guariso: “La Convenzione europea dei diritti umani stabilisce che si possano porre limiti alla libertà di manifestazione del pensiero se sono necessari per proteggere l’ordine pubblico e quindi la sicurezza. Per questo era inutile il passaggio sulla necessità di tener conto dei valori dominanti della nostra società contenuto nel nuovo pronunciamento della Cassazione”.
A questo proposito però, c’è da dire che è dal 2009 che il kirpan (sancito come obbligo religioso per i fedeli sikh) è al centro di controversie giudiziarie. E nella maggior parte dei casi, i tribunali si erano dimostrati inclini a chiudere un occhio, in nome della libertà religiosa e della diversità culturale. Evidentemente quindi, i giudici della Cassazione hanno voluto sottolineare quello che è, a tutti gli effetti, un cambio di rotta: niente più sconti.
“Non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante” recita infatti la sentenza.
Le reazioni della politica non si sono fatte attendere. Per la deputata Forza Italia, Daniela Santanché, la decisione della Suprema Corte “è sacrosanta. Alla faccia dei buonisti e del tutto è permesso, questa sentenza non fa sconti a nessuno…Oggi era un indiano che voleva girare libero con un coltello sacro per le vie della città e magari domani potevamo imbatterci in una bella carovana di elefanti che trasportavano merci di ogni genere. Siamo in Italia – termina Santanchè – e chi viene ospite nel nostro Paese ha il dovere di seguire le regole che ci impone il codice civile, quello penale e la nostra Costituzione”. Dello stesso avviso anche il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
Per il senatore Roberto Calderoli, vice Presidente del Senato e Responsabile Organizzazione e Territorio della Lega Nord, la sentenza “rappresenta un precedente” e allo stesso tempo un “chiaro monito”: se non accetti tutte le nostre regole qui non puoi restare e se queste regole non ti vanno bene puoi andartene altrove o tornare da dove sei venuto”.
A fare da contraltare, monsignor Giancarlo Perego direttore di ‘Migrantes’ (Cei), che evidenzia come il giudizio dei giudici sottolinei “anche il valore della diversità e della multiculturalità e la necessità di un cammino di integrazione degli immigrati”, ma anche Emanuele Fiano, responsabile Sicurezza del Partito democratico.
Fiano ha infatti sottolineato il pericolo di “strumentalizzazione della sentenza”.”Speriamo che ora non sia usata come una clava dai vari Salvini! Perchè la sentenza della cassazione, che richiama gli immigrati che hanno scelto di vivere nel mondo occidentale ‘all’obbligo’ di conformarsi ai valori della società nella quale hanno deciso ‘di stabilirsi’, dichiara un principio semplice e giusto. E si riferisce a un caso singolo. A noi preoccupa la fanfara della xenofobia che userà una sentenza che difende un corretto uso del diritto di tutti come un’arma nei confronti di qualcuno” conclude Fiano.
P.M.
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