Micah Johnson, il cecchino che ha ucciso cinque poliziotti a Dallas durante le proteste contro le violenze delle forze dell’ordine a danno della popolazione nera, pianificava altri attentati “devastanti”. Lo ha detto David Brown, il capo della polizia locale, alla CNN.
“Il materiale per la fabbricazione di bombe trovato in casa di Micah Johnson con un’agenda – dice Brown – ci porta a credere che stesse progettando esplosioni con effetti devastanti a Dallas e nel nord del Texas”.
Secondo i primi rapporti sulle indagini, Johnson dovrebbe aver agito da solo: prima di essere “neutralizzato” da un robot-bomba telecomandato, aveva detto alla polizia di voler uccidere “bianchi”. Su Facebook si dichiarava sostenitore di gruppi militanti neri, come l’African American Defense League e il New Black Panther Party, un gruppo nazionalista nero ampiamente disconosciuto dalle originali Pantere Nere californiane degli anni ’60 e ‘70.
Johnson era stato rimpatriato dall’Afghanistan, dove aveva prestato servizio come falegname, perché una donna soldato lo aveva accusato di molestie sessuali, chiedendo che fosse seguito da uno psicologo.
Domani il presidente Barack Obama sarà a Dallas per assistere ai funerali dei cinque agenti uccisi: secondo la nota della Casa Bianca, è stato invitato dal sindaco Mike Rawlings alla cerimonia interreligiosa, con il suo predecessore George W. Bush e il vice Joe Biden. Il Presidente incontrerà in forma privata i feriti e i parenti delle vittime.
Obama aveva in programma di terminare il suo ultimo viaggio in Europa da presidente con una visita di tre giorni in Spagna. Ma l’ha dovuta interrompere precipitosamente. “È stata una settimana difficile”, ha spiegato a re Felipe VI di Spagna.
“Gli americani di tutte le razze sono giustamente indignati dagli ingiustificati attacchi alla polizia”, aveva detto Obama a Varsavia, dove si trovava per il vertice NATO. Ma “L’America non è divisa come qualcuno ha suggerito, non è tornata agli anni Sessanta”. Il presidente ha ricordato che “lo squilibrato che ha compiuto l’attacco non è rappresentativo degli afroamericani”, ma ha ammesso che “afroamericani e ispanici sono trattati diversamente dal sistema di giustizia USA”. In ogni caso, ha invitato tutti a “riflettere e fare un passo indietro, perché la retorica che stiamo ingaggiando dev’essere costruttiva e non distruttiva”.
Non saranno tornati gli anni Sessanta e nemmeno il 1992, quando l’assoluzione di quattro agenti accusati del pestaggio del tassista Rodney King fece da detonatore a un’ondata di violenza che provocò 55 morti. Ma non per questo le strade degli USA sono tornate il regno della pace e dell’armonia, tanto da convincere perfino Donald Trump – uno che non ha fama di colomba – ad abbassare i toni per qualche giorno, per la precisione fino a oggi, quando su Twitter ha ripreso a tuonare contro “la debole leadership di Obama” e “la corrotta Hillary Clinton”.
Per varie infrazioni commesse durante le proteste in tutti gli USA, le forze dell’ordine hanno comunicato di aver eseguito 230 arresti. Cento di loro solo a St. Paul, nel Minnesota, teatro dell’uccisione di Philando Castle. Circa cinquanta sono stati fermati per aver bloccato l’Interstate 94, un’autostrada di prima grandezza che percorre da Est a Ovest la regione dei Grandi Laghi. Altri 74 sono stati arrestati a Rochester, nello Stato di New York, e trenta a Baton Rouge, in Louisiana, dov’è morto Alton Sterling. Uno dei trenta – poi liberato su cauzione – è DeRay McKesson, uno dei più famosi attivisti di Black Lives Matter, il movimento di protesta nato nel 2013 dopo l’assoluzione del vigilante George Zimmerman dall’accusa di omicidio di Trayvon Martin.
Proteste contro il modus operandi dei poliziotti, accusati di applicare due pesi e due misure secondo il colore della pelle di chi hanno di fronte, si sono tenute, come detto, in ogni parte del Paese. Blocchi stradali di una certa entità si sono visti anche a Detroit e a San Francisco, mentre a Denver, capitale del Colorado, gli attivisti di Black Lives Matter hanno organizzato un sit-in di 135 ore: una per ogni afroamericano ucciso dalla polizia dall’inizio dell’anno. L’ultima voce si è aggiunta all’elenco ieri, a Houston, in Texas. Ma questa volta, a differenza del caso di St. Paul, si trattava in effetti di un uomo che aveva una pistola e minacciava di usarla.
F.M.R.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy