Oggi al Consiglio dei ministri si svolge l’esame preliminare del Def (documento di economia e finanza), che sarà approvato venerdì. Il testo in cui il governo indica tutte le riforme economiche e finanziarie che intende mettere in atto.
Tra gli obiettivi del documento presentato dal governo c’è il pareggio di bilancio strutturale nel 2017 e la necessità di evitare l’aumento dell’Iva e dell’accise che porterebbe, secondo Confcommercio, a un aumento di 54 miliardi di tasse in tre anni.
La manovra prevede un taglio alle spese statali di circa 10 miliardi di euro, se non di più. I tagli serviranno ad allegerire la macchina statale, attraverso una serie di manovre, come il trasferimento di uffici territoriali in un unico palazzo, e l’istituzione della “Local Tax”, accorpamento di due tasse sugli immobili, Imu e Tasi.
Sembra però che a pagare il prezzo di questi tagli saranno soprattutto gli enti locali, che non intendono subire in silenzio: “I comuni hanno fatto abbastanza sacrifici, ora tocca ad altre amministrazioni pubbliche. Serve un incontro con Renzi prima che si emani il Def”, afferma Piero Fassino, presidente dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani).
“Si tenga conto che negli ultimi sei anni è stato chiesto ai Comuni uno sforzo finanziario notevole. Abbiamo contribuito infatti con più di 17 miliardi di euro al risanamento dei conti pubblici. Un contributo proporzionalmente superiore rispetto a quello chiesto ad altri livelli istituzionali” continua il presidente.
Mette mano alle cifre anche la Cgia di Mestre (associazione sindacale degli artigiani e dei lavoratori autonomi). Secondo l’associazione infatti le Regioni a statuto ordinario hanno sborsato circa 9,7 miliardi di euro e quelle a statuto speciale circa 3,3 milardi. Commentando queste cifre, il segretatario della Cgia Giuseppe Bortolussi, evidenzia quali sono i rischi di una strategia di tagli a suo parere sbilanciata: ciò che succede è che, a fronte della riduzione delle risorse, puntualmente “sindaci e governatori compensano aumentando le tasse locali e tagliando i servizi alla cittadinanza“.
Tutto questo, continua Bortolussi, è vero oggi come lo era ieri: «Grazie a questi tagli, lo Stato centrale si è dimostrato sobrio e virtuoso, scaricando il problema sugli amministratori locali. Morale: la minor spesa pubblica a livello centrale è stata pagata in gran parte dai cittadini e dalle attività produttive che hanno subito un fortissimo aumento delle tasse locali».
Continuare in questa direzione, secondo Piero Fassino, consegnerebbe un’immagine degli enti locali non corrispondente alla realtà: “Troppo spesso si dimentica che quando si parla di spesa dei Comuni si parla di asili nido, di scuole materne, di assistenza domiciliare agli anziani, di trasporto pubblico locale, di difesa del suolo, di politiche culturali. I soldi i Comuni li spendono così e guardare a noi come centri di spesa parassitaria è un errore a cui bisognerà prima o poi porre rimedio”, afferma infatti il presidente Anci.
Per i sindaci, tra le necessità del governo anche quella di istituire un “decreto enti locali”, che permetterebbe di sbloccare risorse e fondi, come quello di 625 milioni, che circa 1800 Comuni potrebbero utilizzare per non inasprire le aliquote o per non tagliare servizi essenziali, a causa della Local Tax.
Dal canto suo, il premier Matteo Renzi, oltre a ribadire che non ci saranno tagli per il 2015, afferma che la discussione con i sindaci e gli amministratori locali resta aperta: “Incontrerò i Comuni prima di venerdì, se serve anche le Regioni”.
“Questo Def non è una manovra, che toglie i soldi dalle tasche degli italiani”, continua il premier, “ma sta in linea con la legge di stabilità”.
Priscilla Muro
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