Ogni tanto sui giornali riappare con periodicità “carsica” l’annoso problema dei derivati. Oggi è stata “Repubblica” a riproporre il tema con un pezzo richiamato in prima pagina. Che annuncia come nella legge di stabilità in discussione al Parlamento siano state inserite nove righe nell’articolo 33, comma 1 bis, in cui si parla di “garanzie bilaterali con le banche d’affari” che sono controparti del Tesoro nella gestione dei derivati in essere a tutt’oggi .
Uno scherzetto da 160 miliardi di euro in cui è quasi sempre lo Stato a rimetterci e le banche a guadagnare. Anche per l’imperizia con cui in passato le amministrazioni locali si sono buttate a pesce su questi prodotti finanziari anomali e complicatissimi,al limite del truffaldino, sottoscrivendo prodotti che praticamente non erano neanche in grado di conoscere.
Magari allettate dai cosiddetti “front up”, veri e propri anticipi in conto capitale, con cui magari il sindaco di Pomezia, piuttosto che quello di Nettuno, ci ha costruito la classica rotatoria (o la fontana di paese) che poi viene sbeffeggiata in tv da urbanisti o critici d’arte come Vittorio Sgarbi.
Per conoscere bene questi derivati è opportuno il seguente “vademecum” che spiega tutto quello che avrebbero dovuto sapere su di essi gli amministratori locali italiani e che chissà perchè (parafrasando un noto film di Woody Allen) non hanno mai osato chiedere. Tanto meno al momento della stipula con le banche d’affari che negoziano questo tipo di titoli.
Prima cosa: come funziona un derivato?
Il derivato è uno strumento finanziario che deriva e quindi è strutturato su rapporti o attività sottostanti ( valute, merci o anche altri derivati da debito pubblico o privato e strumenti finanziari). Nascono per coprire le imprese o altre istituzioni da una serie di rischi legati alle loro attività, quali il cambio di tasso di interesse, l’oscillazione dei prezzi o la fluttuazione dei tassi di interesse. Lo strumento nasce con una finalità sicuramente nobile che è quella di creare una protezione, ma spesso viene adoperato in maniera diametralmente opposta aumentando il rischio dal quale ci si intendeva coprire e ciò è quello che avvenuto in molti contratti proposti a molti enti locali italiani tra cui alcuni comuni come Taranto andati in default finanziario già da qualche anno.
Quando è stata introdotta in Italia la possibilità di usare i derivati come strumento finanziario anche per gli enti locali?
La possibilità per gli Enti pubblici di stipulare operazioni in derivati è stata prevista dall’articolo 41, comma 1, della legge 28.12.2001 numero 448 (finanziaria per il 2002, governo Berlusconi bis) che ha demandato al Ministero dell’Economia e delle Finanze di emanare un decreto con il quale approvare le norme relative all’utilizzo degli strumenti derivati da parte degli enti locali. Il decreto è stato approvato solo il successivo 1 dicembre 2003 e nel frattempo le banche hanno proposto derivati spesso inadeguati alle esigenze degli enti locali, i quali, allettati nel periodo 2002-2003 da tassi di interesse più convenienti rispetto a quelli dei mutui accesi con Cassa depositi e Prestiti, hanno sottoscritto i contratti.
Dove sta la fregatura ?
Il trucco è stato proporre questi contratti in un momento, 2002-2003, in cui il tasso euribor di riferimento era più basso rispetto al tasso fisso pagato dagli enti sui mutui contratti con Cassa Depositi e Prestiti. Enti pubblici e privati hanno creduto di risparmiare sulla differenza tra il tasso fisso pagato sui mutui ed il tasso variabile proposto dalla banca senza tener conto che i tassi sarebbero saliti e la situazione si sarebbe capovolta, come è avvenuto, anche perché questi contratti hanno scadenza lunghissima 2020-2030. Le banche, inoltre, hanno pagato ad enti e ai privati un up-front cioè una somma di denaro liquida versata al cliente al momento della stipula senza spiegare che detta somma non era una elargizione ma un’anticipazione che il comune o il privato avrebbe dovuto successivamente restituire. Ma la nota dolente sono le commissioni implicite applicate ai contratti, in parole povere i contratti già al momento della stipula avevano un “mark to market” ( valore di mercato) negativo per l’ente ed il privato e quindi la banca avrebbe dovuto versare la somma corrispondente alle commissioni implicite richieste al cliente per ribilanciare il contratto stesso. Ma ciò non è avvenuto. Pertanto, già al momento della stipula il contratto ha creato un danno economico all’ente o all’impresa.
Che dovrebbe fare il governo?
Il Governo dovrebbe prendere posizione con le banche ed indurle a consentire agli enti locali che hanno stipulato contratti in derivati speculativi e non adeguati alle loro esigenze di copertura, di estinguerli anticipatamente senza pagare agli istituti di credito il mark to market, cioè l’attuale valore di mercato dei contratti, che ammonta spesso a diverse centinaia di migliaia di euro.
Al momento ciò non è avvenuto, ma è stato solo vietato, prima con l ’articolo 62 del Decreto legislativo 25/5/2008 numero 112( detto manovra d’estate) e poi con l’ articolo 3 della Legge 22.12.2008 numero 2003( finanziaria per il 2009, governo Berlusconi tre) la stipula di nuovi contratti in derivati.
Ciò non risolve il problema di centinaia di enti locali che hanno in corso contratti che vanno a scadere nel periodo 2020-2030 ed al rialzo dei tassi di interesse ricomincerà per loro l’emorragia di denaro pubblico che finirà nelle casse delle banche.
Cosa può succedere adesso?
Basti pensare che, nel periodo che va da gennaio 2002, data di entrata in vigore della legge finanziaria che consentiva agli enti locali di stipulare contratti derivati, a dicembre 2003, data in cui con decreto è stato stabilito quali tipologie di derivati gli enti locali potessero stipulare, le banche hanno potuto proporre indiscriminatamente agli enti tipologie di derivati assolutamente inadeguati alle loro esigenze, ed in particolare swap altamente speculativi, i cosiddetti “esotici”, rischiosissimi e talmente sofisticati da divenire incomprensibili per soggetti che non hanno competenze specifiche.
Cosa è lo swap?
Un contratto attraverso il quale due parti si obbligano reciprocamente a scambiarsi in date prestabilite flussi di interesse collegati ai principali parametri di mercato e calcolati su un importo sottostante. E’ avvenuto che gli enti locali hanno ceduto alla banca il tasso fisso pagato sui mutui con Cassa Depositi e Prestiti ed in cambio hanno ricevuto un tasso variabile vincolato all’euribor più uno spread.
Che si intende per scommessa sui tassi futuri?
Si intende che gli enti cedendo alla banca l’interesse a tasso fisso sui mutui già accesi ed acquistando dalla banca il tasso variabile, hanno fatto una scommessa sull’andamento futuro dei tassi nel senso che, se il tasso variabile si fosse attestato al di sotto di una certa soglia avrebbero guadagnato, al di sopra della stessa ci avrebbero rimesso. In parole povere hanno giocato d’azzardo.
Quali sono le esposizioni globali degli enti locali italiani?
Da un’indagine effettuata dalla Corte dei Conti a dicembre 2007 sarebbero circa 777 le amministrazioni pubbliche interessate dal fenomeno dei derivati con perdite stimate nella misura di circa 32 miliardi di euro pari ad oltre la metà dell’indebitamento delle pubbliche amministrazioni. Si tratta comunque di dati parziali che non tengono conto delle regioni Piemonte, Val D’Aosta e Trentino. E’ lecito ritenere che il fenomeno sia molto più esteso.
Si potrebbe adoperare il metodo usato dal governo inglese di imporre alle banche la risoluzione forzata dei contratti con gli enti locali?
Sarebbe auspicabile. Il governo dovrebbe intervenire prendendo atto che la finalità che si voleva raggiungere con la finanziaria 2002 non è stata conseguita, che le banche hanno proposto strumenti inadeguati alle esigenze degli enti pubblici, che hanno comportato grossi esborsi non giustificati ed indurre gli istituti di credito a chiudere qui la partita consentendo agli enti di estinguere anticipatamente e a costo zero i contratti.
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