Era il 26 aprile 2007 quando al culmine di una banale lite nella metro di Roma, Doina Matei, ragazza romena allora ventunenne, uccise una sua quasi coetanea Vanessa Russo conficcandole in un occhio la punta dell’ombrello che teneva in mano. Non le prestò neanche i primi soccorsi, ma all’apertura delle porte della metropolitana pensò bene di fuggire lontano. Fu arrestata solo qualche giorno dopo a Tolentino, nelle Marche, perché individuata grazie alle telecamere a circuito chiuso che avevano registrato la sua immagine. Condannata ad una pena di 16 anni per omicidio preterintenzionale, Doina si è sempre difesa dalle accuse giustificando l’accaduto come un tragico incidente ed escludendo a priori ogni sua volontà di uccidere.
Vanessa Russo, romana di 23 anni, morì in ospedale dopo un giorno di coma. La Matei andò invece in carcere, con conferma dei 16 anni da parte della Cassazione (2010). Dopo otto anni, essendole stata riconosciuta la buona condotta secondo i termini prescritti dalla legge, le era stata concessa la semilibertà: di giorno poteva lavorare in una cooperativa, la sera doveva tornare a dormire nel carcere femminile della Giudecca, a Venezia. Le erano stati concessi anche alcuni permessi-premio, sempre secondo quanto stabilito dalla legge, che le avevano dato la possibilità di dormire fuori dal carcere.
“La donna ha ora il diritto di reinserirsi nella società”, dice Nino Marazzita, legale della Matei circa la decisione sulla sua semilibertà. Infatti, sempre secondo le dichiarazioni fatte dallo stesso avvocato difensore, la pena sarebbe stata proporzionata alla gravità del fatto compiuto, quindi giustamente calibrata anche sulla scorta del difficile passato di Doina, all’epoca dei fatti poco più che diciottenne e già madre di due bambini.
Lunedì 11 aprile, però, lo scoop sul quotidiano romano Il Messaggero che scrive di aver scoperto un profilo Facebook di Doina Matei, aperto lo scorso 6 gennaio con un altro nome, dove sono state pubblicate alcune foto della donna mentre «sorride in bikini al mare sopra uno scoglio». Momenti di felicità e spensieratezza durante uno dei permessi premio, trascorsi dalla Matei al Lido di Venezia.
Ebbene, il caos sollevato da quelle foto è stato tale da causare alla rumena una provvisoria sospensione della semilibertà. Decisione questa del magistrato di sorveglianza di Venezia, Vincenzo Semeraro, in seguito alle polemiche sollevate dalla diffusione virale attraverso i social. Il suo avvocato, Marazzita, parla di una “bomba mediatica”, intanto deve attendere che sia fissata la data dell’udienza, sede nella quale chiederà il ripristino della condizioni precedenti, anche se non è chiaro in base a quale norma il magistrato abbia deciso di sospendere la semilibertà. Al momento, comunque, la donna è diffidata dall’utilizzare Facebook.
Per Marazzita «questo è un brutto passo indietro per la mia assistita. Forse dovuto all’effetto del polverone mediatico che si è sollevato sul caso dopo la pubblicazione di quelle foto. Ma la sospensione durerà giusto il tempo di discuterla davanti al tribunale di Venezia dove dimostreremo che fra i divieti non c’era quello specifico dell’uso del social network». Diversi giornali riportano anche le dichiarazioni di Matei: «Sono sconvolta, non sapevo di non poter usare Facebook, mi spiace molto se ho fatto del male a qualcuno».
Oltre alle critiche nei confronti della donna, c’è però anche chi spezza una lancia a suo favore: Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che da 25 anni si muove nel mondo delle garanzie nel sistema penale, oltre a sottolineare il fatto che non è reato o crimine sorridere e farsi fotografare, ricorda che scopo della pena detentiva è anche quello di provvedere alla risocializzazione del detenuto e non alla sua vessazione. La ragazza ha infatti già scontato metà della pena inflittale 9 anni fa e forse l’errore in cui è incappato più di uno tra coloro che hanno criticato il provvedimento in vigore, è stato proprio quello di non pensare che la semilibertà non è essa stessa una rimessa in libertà della persona, ma soltanto la prosecuzione della pena in regime diverso.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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