Sta tornando, dopo anni di tregua, e già sembra che la situazione non sia più controllabile, il temutissimo virus dell’ebola. Quasi seicento le persone infettate e circa trecentocinquanta i morti tra Guinea, Sierra Leone e Liberia. La peste nera, dunque, ha ripreso a mietere vittime in Africa occidentale: l’organizzazione Medici senza frontiere parla di sessanta centri abitati colpiti nelle ultime settimane e denuncia la mancanza di mezzi e risorse umane per fronteggiare l’emergenza in corso. Fonti ufficiali dell’Organizzazione mondiale della Sanità ammettono che il virus sta dilagando come non accadeva da quarant’anni: “la scala di diffusione dell’epidemia è, per numero di contagi e per estensione geografica delle località toccate, la più grave in assoluto dal 1976, anno in cui l’uomo fu colpito per la prima volta”. Il virus, che provoca febbri emorragiche, diarrea e problemi al sistema nervoso centrale, uccide nel 90% dei casi, pertanto sono vane le speranze di chi tenta di curare i malati, soltanto reidratandoli, ai primi sintomi dell’infezione. Del resto, la maggior parte delle volte, è proprio l’acqua a veicolare il virus più velocemente tra quelle popolazioni, nei villaggi più poveri, dove è quasi impossibile trovare medici e medicinali per contrastare le malattie. E, paradossalmente, anche quando vi è la possibilità di curarsi, i malati sono molto diffidenti: è difficile far capire che non si guarisce ricorrendo alle cure del “santone” del villagio e soprattutto che la malattia non è causata da “forze oscure”, perchè il contagio avviene attraverso lo scambio di fluidi corporei o utilizzando acqua infetta.
Anja Wolz, coordinatrice di Medici Senza Frontiere, teme che “questa sia solo la punta dell’iceberg. L’educazione e la prevenzione sono le chiavi per fermare l’epidemia, stiamo dicendo alla gente a quali sintomi fare attenzione e come prevenire futuri contagi. Ci sono ancora molte persone nella regione che pensano che l’ebola non esista». Luis Sambo, direttore regionale per Africa, ammette che “ormai non è più un focolaio limitato ad alcuni Paesi, ma una crisi sub-regionale che richiede un intervento di Governi e partner”. E’ stat convocata perciò dall’OMS una riunione, per i primi di luglio, in Ghana, per discutere non solo della situazione attuale, ma anche prevedere misure volte a limitare la trasmissione del virus tra Paesi confinanti e a livello internazionale.
Proprio sul pericolo di diffusione dell’ebola all’estero cominciano a interrogarsi i Paese occidentali. Giovanni Rezza, Direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, parla di “rischio bassissimo per l’Europa“, innanzitutto perchè i tempi di incubazione della malattia non sono particolarmente lunghi -massimo venti giorni- e soprattutto perchè un malato non avrebbe la forza di affrontare un viaggio. Inoltre, il focolaio al momento è limitato all’area occidentale del continente nero, principalmente in zone difficili da raggiungere; tuttavia non si può escludere a priori la possibilità che una persona contagiata lasci i Paesi interessati, diffondendo così il virus. Dal momento che non esiste un vaccino e neanche un farmaco universalmente efficace, la cura migliore resta la prevenzione, partendo da norme igieniche elementari, come il lavaggio delle mani, evitando accuratamente il contatto con persone che potrebbero essere a rischio, portatori almeno potenzialmente del virus. L’unica positività, per quanto riguarda il pericolo del contagio, è che l’ebola si trasmette solo per contatto diretto e non per via aerea, come altri virus.
Teti Maria Licursi
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