Il Venezuela volta pagina. Nelle elezioni politiche di ieri, 99 seggi sui 167 dell’Assemblea Nazionale sono andati a candidati della MUD (“Tavolo per l’unità democratica”), una coalizione eterogenea di opposizione, guidata da partiti socialdemocratici. I bolivaristi del PSUV (Partito socialista unito del Venezuela) ne hanno conquistati appena 46.
Dopo quasi diciassette anni si interrompe quindi l’egemonia del chavismo, la variante del socialismo nazionalista, antimperialista e fondata sul rapporto personale fra il presidente e gli elettori, applicata prima dal presidente Hugo Chavez, poi, dopo la sua morte – avvenuta nel 2013 per un tumore – dal suo vice e successore Nicolas Maduro.
A dare l’annuncio è stata la presidente della Commissione elettorale nazionale, Tibisay Lucena, che ha definito questa tornata di elezioni “una grande giornata per la democrazia”. Al voto si è presentato un “eccezionale” 74,25% degli aventi diritto.
I 22 seggi rimanenti devono essere ancora assegnati, perché lo spoglio delle schede non è ancora stato completato in alcuni dei 23 stati federati che compongono il paese. È quindi ancora possibile che la MUD raggiunga la maggioranza qualificata di 110 seggi, che le permetterebbe di legiferare in totale autonomia, superando eventuali veti presidenziali, iniziare un processo di revisione costituzionale o rimuovere magistrati del Tribunale Superiore di Giustizia. In questo caso la vittoria sarebbe schiacciante, ma in ogni caso supererà le previsioni dei sondaggi della vigilia.
Il crollo del PSUV ha anche un’eco internazionale: è un altro duro colpo assestato al fronte bolivariano, il club degli stati latinoamericani governati dalle sinistre antimperialiste, che due settimane fa ha perso anche l’Argentina, passata dal peronismo della dinastia Kirchner alla destra liberal di Mauricio Macri.
Fatale al governo, ancora più delle accuse di demagogia, di corruzione e di ingerenze nella stampa e nelle istituzioni giudiziarie, è stata la durissima crisi economica che ha colpito il Venezuela negli ultimi due anni. L’inflazione a tre cifre ha fatto crollare il valore del bolivar, la moneta nazionale, e costretto il governo a razionare i generi alimentari.
Alcuni commentatori temevano che Maduro potesse tentare un colpo di mano in caso di sconfitta elettorale: a suggerirlo erano fra l’altro i proclami battaglieri con cui fino a ieri augurava la galera ai dirigenti delle multinazionali attive in Venezuela. Oggi, invece, il presidente ha ammesso la sconfitta, anche se ne ha attribuito la responsabilità alla “guerra economica” scatenata contro di lui dal “capitalismo selvaggio”, paragonando la sua resistenza “eroica” a quella di Salvador Allende, il presidente cileno ucciso nel golpe militare del 1973.
Al discorso alla nazione di Maduro, il leader della MUD, Jesus Torrealba, ha risposto con toni trionfali: “Abbiamo battuto democraticamente un governo che democratico non è”, ha detto, annunciando la “fragorosa disfatta del governo” e la “chiara vittoria dell’opposizione”.
Il popolo ha parlato chiaramente. Le famiglie venezuelane si sono stancate di soffrire a causa del vostro fallimento. Ora basta! È ora di rispettare la volontà del popolo.
Oltre i proclami, la vittoria della MUD è stata netta, ma la sua capacità di governare – per di più in coabitazione con il presidente Maduro, il cui mandato scade nel 2018 – è ancora tutta da dimostrare. Sotto l’ombrello della coalizione coesistono partiti degli orientamenti più disparati, dalla socialdemocrazia alla destra nazionalista, accomunati solo dall’opposizione al chavismo.
Il malcontento esploso negli ultimi anni in Venezuela, con la crisi economica e le continue proteste di piazza, non ha fatto che acuire le tensioni all’interno della coalizione, che esiste informalmente almeno dal 2006. La MUD ha mostrato le prime crepe già nel 2013, al momento di scegliere un candidato da opporre a Maduro per la successione a Chavez: i radicali avevano proposto Maria Corina Machado, che però fu bloccata dalla commissione elettorale, contro il moderato Henrique Capriles, governatore dello stato di Miranda, che alla fine ebbe la meglio, andò al ballottaggio contro il vicepresidente uscente e perse per un misero 1,5%.
Un’altra spaccatura nella coalizione si è vista chiaramente l’anno scorso, in occasione dei moti di piazza che hanno provocato 43 vittime in tutto il paese. Mentre Capriles invitava alla calma e al dialogo, Machado e Leopoldo Lopez erano in piazza a chiedere le dimissioni di Maduro, fatto che Lopez ha pagato con una condanna a 14 anni di carcere per “istigazione alla violenza”.
Filippo M. Ragusa
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