Sui provvedimenti anticorruzione è polemica. Anzi, scontro apertissimo, tra magistrati e governo: «Uno Stato che funzioni dovrebbe prendere a schiaffi i corrotti e accarezzare chi esercita il controllo di legalità – va all’attacco il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Rodolfo Sabelli a “Uno Mattina” –. Ma in Italia è accaduto il contrario: i magistrati sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati».
Renzi non ci sta e contrattacca, accusando i magistrati: «Quello che dite è falso», e va avanti per la sua strada accelerando i tempi per la conversione definitiva del disegno di legge anti-corruzione, prevista per la prossima settimana. Poche ore dopo gli “arresti di Firenze”, l’emendamento sul falso in bilancio è stato portato al vaglio della Commissione Giustizia del Senato. «Alleluia, alleluia!», è il commento del presidente del Senato e firmatario del primo testo di legge Pietro Grasso. Il Movimento Cinque Stelle aveva definito “Godot” la tanto attesa correzione del testo iniziale del ddl.
In effetti, qualcosa in comune con il dramma di Samuel Beckett c’è: da ben 731 giorni, oltre due anni, la proposta di legge aspetta di essere discussa in Parlamento.
In cosa consiste, allora, l’attesissimo emendamento? Il fatto importante è che il falso in bilancio torna ad essere reato, dopo esser stato «cambiato radicalmente nel 2001, quasi al punto da essere depenalizzato», spiega sempre Grasso. Differenti le sanzioni per le società quotate e non in borsa: le pene previste per le prime sono da tre a otto anni di reclusione, per le seconde da uno a cinque anni. Sanzioni economiche più severe per le società e per gli amministratori, dunque, ma solo per chi «consapevolmente espone fatti materiali rilevanti non corrispondenti al vero». Saranno, quindi, non punibili gli errori “involontari” e “non rilevanti”, ovvero di “tenue entità”. “Salvati” dall’emendamento coloro che non manifestino la volontà di «creare fondi neri o evadere il fisco».
Per il presidente del Senato, il Parlamento «deve correre», soprattutto ora, che la recente inchiesta sulla corruzione avviata dalla Procura di Firenze ha gettato nuova luce sulle connivenze tra politica e malaffare in materia di appalti delle grandi opere. «Ed è solo la punta dell’iceberg», commenta Grasso. L’inchiesta riguarda un business da 25 miliardi di euro che ha portato in carcere quattro persone tra cui il supermanager Ercole Incalza e messo sotto inchiesta una cinquantina tra politici (l’ex sottosegretario ai Lavori pubblici Antonio Bargone, il consigliere del ministro Lupi Rocco Girlanda, l’ex sottosegretario allo Sviluppo economico Stefano Saglia, l’ex deputato Vito Bonsignore e il viceministro alle Infrastrutture Riccardo Nencini), imprenditori e mediatori, tra i quali nomi eccellenti del governo, come il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi.
Priscilla Muro
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