Francesca Amelia Cucuzza ha 36 anni, vive a Milano. Fino a pochi anni fa, solare, bella, piena di vita e di sogni per il futuro insieme all’uomo dolce e comprensivo che l’aveva corteggiata e sposata in quattro e quattr’otto, portava avanti il suo lavoro di maestra in un asilo. Ma il matrimonio si trasforma subito in una prigione fatta di maltrattamenti, violenze di ogni genere e minacce che non le tolgono per fortuna le forze per reagire e sottrarsi al suo aguzzino chiedendo la separazione. Negli atti processuali si parla di violenze fisiche, sessuali, psicologiche. Lui, una guardia giurata, era arrivato a minacciarla anche con la pistola di ordinanza. Lei stessa aveva raccontato che gliela puntava alla tempia e gliela metteva in bocca prima di legarla. Ovviamente l’ex marito non le ha perdonato il fatto di averlo lasciato, addirittura denunciato anche se è stata la Casa di cura Mangiagalli, dove Francesca era arrivata in condizioni pietose per le botte subite, a fare aprire un’indagine che ha portato ad licenziamento dell’aguzzino, alla sua condanna a 10 mesi di reclusione e al pagamento di una provvisionale di 10 mila euro. Praticamente nulla rispetto al male che ha fatto. Perché Francesca è costretta a vita su una sedia a rotelle. Da cinque anni vive il suo calvario, ogni sei mesi è costretta a subire un intervento per placare quei dolori che altrimenti non le consentirebbero nemmeno di stare seduta sulla sedia a rotelle, come raccontato dal legale della donna ai microfoni di Radio 24 durante un collegamento con “effetto giorno”. L’ex marito che le ha rubato il diritto alla felicità, condannandola di fatto ad una pena senza fine. Perché mentre Francesca, con una invalidità riconosciuta del 100%, è stata costretta a stravolgere la sua vita, lasciare il lavoro che amava e rivedere i sogni di una vita, lui è libero di girare e di delinquere. Francesca è forte, lo dimostra lottando ogni giorno e troverà una sua dimensione anche in questa tragedia, anche se resta fortemente preoccupata per la sua incolumità. Una tragedia che fa venire alla mente “Carmen”, l’opera di Bizet. Carmen, uccisa da Don Jose che non puo Tollerare di essere lasciato per un altro uomo: Escamillo, l’affascinante torero di cui si era invaghita, più di altri personaggi femminili raccontati dalle opere liriche può rappresentare un manifesto contro il femminicidio. Troppi Don Josè ancora oggi decidono liberamente della vita delle donne che hanno scelto di possedere, non certo di amare. L’amore è libertà. Dove c’è violenza non può esserci amore. Quello che colpisce della tristissima storia di Francesca, a parte l’assurdità di una pena risibile, è che, come ha raccontato dal legale che la rappresenta ai microfoni di Radio24, molte, troppo storie delle quali i media non si occupano, restano nelle polveri delle aule dei tribunali, senza assurgere agli onori della cronaca. Quante donne, quante sofferenze, quante storie non vengono raccontate. Quante donne si trovano sole, spesso piene di vergogna, a dover affrontare uomini, compagni violenti. Per risolvere il problema della violenza di genere bisogna avere finalmente il coraggio di rendersi conto che è ben saldamente ancorata al nostro bagaglio culturale, affondando le sue radici nella notte dei tempi. L’unico modo di uscirne è con una battaglia culturale che investa la famiglia, la scuola, che analizzi le cause di questo morbo strisciante che purtroppo non lascia scampo, risalendo alle origini del problema. Solo pochi mesi fa Fufi Sonnino ha organizzato un incontro molto interessante e partecipato dal titolo “sessismo all’opera”, analizzando come tipologie di comportamenti sbagliati siano fortemente radicati dentro di noi tanto da non riuscire a vederli in opere, sculture, quadri, dove l’orrore è mascherato da storie, leggende, miti. Molti passi in avanti sono stati fatti, anche con legislazioni ad hoc, ma evidentemente molto è ancora da fare. Testimonianza è che le donne, nonostante le cronache di femminicidi siano all’ordine del giorno, persistano in comportamenti autodistruttivi, come se non riuscissero a liberarsi da questo giogo millenario. Noi, tutti insieme, uomini e donne possiamo e dobbiamo liberarci e liberarle da quel giogo, ognuno nel suo piccolo, ognuno con il suo bagaglio di esperienze, con il suo vissuto. Lanciamo l’hashtag #iostoconFrancesca. Tacere o rinunciare ad agire ci trasformerebbe in complici.
Domitilla Baldoni
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