Frena la caduta del reddito medio delle famiglie italiane. A dirlo l’analisi di Banca d’Italia che individua in 2.500 euro – al netto di imposte e contributi sociali – la media reddituale mensile delle famiglie, circa 30.500 euro l’anno.
Questo, però, è il dato generale. Nello specifico, infatti, i numeri sono leggermente diversi. La mediana riferita alla famiglia che occupa la posizione centrale della distribuzione, e quindi il ‘nucleo tipo’, quello più rappresentativo, si ferma a una media di 2.100 euro al mese. Guardando in alto, il 10 per cento delle famiglie a più alto reddito percepisce circa 4600 euro al mese, mentre il 22,3% degli italiani vive sotto la soglia di 9.600 euro, ovvero sono a basso reddito.
“Tra il 2012 e il 2014 – scrivono gli esperti di via Nazionale – la ricchezza netta familiare media è scesa in termini reali dell’11 per cento, per effetto di una significativa diminuzione tra le famiglie più abbienti (-15 per cento nel quinto più alto) dipesa in larga parte dal calo del prezzo degli immobili”. Mentre per le famiglie “al di sotto della mediana della ricchezza, il patrimonio netto medio è aumentato del 4 per cento, quasi interamente per il calo delle passività finanziarie che riflette sia la minore esposizione media degli indebitati sia il minor numero di questi ultimi”.
Le condizioni di vulnerabilità finanziaria, invece, “riguardano l’11,4 per cento delle famiglie indebitate e il 2 per cento del totale”, in calo nel confronto con il 2012, quando erano rispettivamente il 13,5 e il 2,6 per cento.
La distribuzione del reddito è stata influenzata anche dal bonus fiscale previsto dal Governo e destinato ai lavoratori dipendenti con un reddito annuo complessivo compreso tra circa 8.100 e 26.000 euro “poco più di un quinto delle famiglie (circa 5,4 milioni) ha dichiarato di aver ricevuto questo bonus, percependo in media 86 euro mensili per il periodo da giugno a dicembre”.
Per quanto riguarda invece le attività finanziarie, Bankitalia evidenzia come alla fine del 2014 “un quarto delle famiglie italiane possedeva almeno un’attività finanziaria diversa dai depositi bancari o postali”, un dato in lieve aumento rispetto alla fine del 2012. In circa tre quarti dei casi si trattava esclusivamente di “investimenti diretti, perlopiù obbligazionari”.
“Le famiglie più povere – si legge ancora nel Bollettino – detenevano quasi esclusivamente depositi, certificati e pronti contro termine. Le famiglie nelle classi centrali di ricchezza netta investivano una parte importante del proprio patrimonio anche in titoli di Stato, obbligazioni private e fondi comuni e gestioni patrimoniali”, mentre il quinto più ricco “possedeva un portafoglio finanziario più diversificato, per oltre un quarto gestito da operatori finanziari; queste famiglie detenevano i due terzi del valore complessivo dei titoli di Stato”.
In calo anche l’indebitamento, indice che mantiene la tendenza degli ultimi anni.
Alla fine 2014 il 23 per cento delle famiglie italiane aveva i conti in rosso “per un ammontare medio di poco più di 44.000 euro; nel 2012 era indebitato il 25,9 per cento delle famiglie per un ammontare medio di 51.500 euro”. Un calo che riflette la minore incidenza sia dei debiti per l’acquisto o la ristrutturazione di immobili sia di quelli per il finanziamento del proprio consumo.
“Nel 2015 l’economia italiana e tornata a crescere”, ha dichiarato Salvatore Rossi, direttore generale di Banca d’Italia. ”Il Pil è salito per tre trimestri consecutivi, per la prima volta dalla metà del 2011. Le nostre stime preliminari suggeriscono che per la media del 2015 la crescita si avvicinerebbe all’1%; il dato più probabile è al momento 0,8%“.
Secondo le previsioni “la ripresa dell’economia italiana si rafforzerà l’anno prossimo, nell’intorno di un punto e mezzo, sostenuta soprattutto dalla domanda interna“.
Proprio per aiutare le dinamiche economiche “va dissipato” il clima di preoccupazione connesso al terrorismo internazionale.
Secondo Rossi c’è il rischio “che gli atti di guerra a cui abbiamo assistito, sgomenti, a Parigi, possano diffondere un clima di paura e di prudenza nei consumatori dei paesi europei, tale da pesare sulla domanda. È un rischio, non ancora una realtà” che “se si riuscirà a evitare, anche le conseguenze economiche potranno essere scongiurate”.
Per quanto riguarda invece le politiche nazionali, queste non possono non tenere conto “degli ampi divari territoriali che caratterizzano l’economia italiana”. Divari che esistono “tra Sud e Centro Nord ma anche tra aree urbane e non urbane”.
Rossi ha chiarito di non stare “invocando sussidi a favore di specifici territori o settori o tipi di impresa” visto che studi “ne hanno dimostrato l’inefficacia, nella migliore delle ipotesi”, ma chiede invece “uno sviluppo armonico e bilanciato tra aree” che richiede di declinare “qualunque politica sia rivolta all’intero Paese in modo differenziato sul territorio, per tenere conto della diversa capacità di applicarla in aree con diverse dotazioni di capitale sociale e con diverse abilità politico-amministrative“.
Anche il Dg di Bankitalia torna, poi, sulla richiesta che tutti gli economisti, da Draghi in poi, avanzano ai Governi: “l’interesse del Paese è che lo sforzo riformatore non si attenuti, che anzi si intensifichi”.
Questo per non inficiare gli effetti delle manovre di politica monetaria avviate nel corso dei mesi per riavviare l’economia europea e, ovviamente, nazionale. E proprio oggi Mario Draghi ha annunciato l’estensione di sei mesi del piano di Quantitative Easing avviato lo scorso marzo.
Una scelta che inietta nel sistema ulteriori 360 miliardi di euro con i quali si vuole far risalire l’inflazione fino alla quota del 2%.
Il board della Bce ha scelto di estendere il piano fino a marzo 2017, innalzando il totale del programma di acquisti di titoli di stato a 1.500 miliardi di euro complessivi.
“Stiamo facendo di più – sostiene il numero uno dell’Eurotower – per consolidare qualcosa che ha avuto successo e accelerare il raggiungimento di un obiettivo. Abbiamo stimato che le nostre misure hanno un effetto sul Pil dell’Eurozona pari all’1,0% nel periodo 2015-2017”.
Complessivamente, le manovre della Bce hanno migliorato le condizioni di finanziamento per imprese e famiglie e riattivato flussi di credito in tutta l’area dell’euro.
Nonostante questo miglioramento, però, “l’andamento dei prestiti alle imprese continua a riflettere un rapporto sfasato con il ciclo economico, il rischio di credito e l’aggiustamento in corso dei bilanci del settore finanziario e non finanziario“. Infine, “il tasso annuo di crescita dei prestiti alle famiglie (corretti per cessioni e cartolarizzazioni) è aumentato a 1,2% in ottobre, rispetto al 1,1% nel mese di settembre“.
Per quanto riguarda i bond italiani, la Bce stima in un acquisto complessivo – tra Banca d’Italia e la stessa Banca Centrale – di 200 miliardi di euro di titoli.
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