“Non ho mai visto niente del genere”. Quando a pronunciare questa espressione è Zainab Bangura, inviata ONU per i crimini sessuali nelle zone di conflitto, ci si inizia a rendere conto di quanto inaudite e inspiegabili siano le violenze commesse dai miliziani dell’ISIS nelle zone sotto il loro controllo.
Bangura, che prima di accettare il suo incarico all’ONU è stata ministro della Salute e degli Esteri in Sierra Leone, è appena tornata da una missione in Medio Oriente che ha toccato anche Siria e Iraq, i paesi dove l’ISIS, approfittando della debolezza degli Stati, si è ritagliato uno spazio di potere incontrastato.
La sua testimonianza al sito d’informazione Middle East Eye, che anticipa il rapporto annuale dell’ONU sui crimini sessuali nelle zone di guerra, illumina una realtà raccapricciante, in cui le donne sono violentate, costrette alla prostituzione o a matrimoni forzati, vendute e comprate come oggetti.
Oltretutto, gli abusi cui i jihadisti costringono donne e ragazze delle zone occupate non sono iniziative di individui isolati, ma vengono dall’alto, dal sedicente “califfato”, e sono organizzati, coordinati e sistematici: una vera “guerra alle donne”, come la definisce Bangura.
“La brutalizzazione di donne e ragazze – sostiene l’inviata dell’ONU – è centrale per la loro ideologia. Usano la violenza sessuale come una ‘tattica di terrorismo’”.
Un’altra definizione che può spiegare, almeno in parte, quel che succede sotto l’ISIS è il cosiddetto “jihad del sesso”: “I corpi delle donne vengono usati per dare un contributo alla campagna dell’IS”. Così, decine di migliaia di miliziani si aspettano “donne da sposare” in cambio della loro militanza.
Questa convinzione spinge perfino alcuni genitori a vendere le proprie figlie ai miliziani.
La maggior parte delle vittime di questa raccapricciante tratta viene invece dalle minoranze ridotte in schiavitù: ragazze vendute e comprate in aste che sembrano uscite da una fantasia disturbata. Bangura non ci risparmia i dettagli più crudi: prima di essere vendute, le ragazze vengono sottoposte a un’umiliante ispezione da parte di uomini dell’ISIS, che decidono il loro prezzo in base a caratteristiche come la verginità, la bellezza e l’età.
Quelle reputate più appetibili vengono inviate a Raqqa, la capitale del califfato, sede dell’asta più grande, dove la prima scelta tocca agli shaykh, i riveriti anziani della comunità.
A quel punto, l’unico limite alle torture inflitte alle ragazze è la fantasia dei loro nuovi padroni. Fra le testimonianze raccolte da Bangura, che ha parlato con attivisti e superstiti, c’è la storia di una ragazza di vent’anni “bruciata viva per essersi rifiutata di prendere parte a un atto di sesso estremo”.
Quando si stancano delle loro schiave, i loro carcerieri possono anche semplicemente rivenderle, a un prezzo che scende di volta in volta. La rappresentante dell’ONU ha raccontato di una ragazza che ha cambiato ventidue padroni.
Un fenomeno del genere non ha nulla a che vedere con il fondamentalismo né con l’Islam: il testo del Corano non vieta in assoluto la schiavitù – una pratica ancora diffusa nel settimo secolo dopo Cristo, quando è stato codificato – ma in numerosi passi invita i musulmani a trattare gli schiavi con umanità e compassione, e promette la gratitudine divina a chi rende loro la libertà.
D’altra parte, l’ISIS ha dimostrato di non farsi scrupoli, men che meno religiosi, in materia di minoranze da ridurre in schiavitù. Il problema è ben lungi dal riguardare solo le minoranze cristiane: fra i perseguitati ci sono gli yazidi, accusati di non essere musulmani, ma anche gli sciiti, accusati di non essere buoni musulmani, e i curdi, che pure in larga maggioranza sono sunniti come i miliziani.
“Ho lavorato in paesi come la Bosnia, il Congo, il Sud Sudan, la Somalia e la Repubblica Centrafricana – ha concluso Bangura – e non ho mai visto niente del genere. Questa inumanità è incomprensibile. Sono sconvolta, non riesco a capire”.
Filippo M. Ragusa
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