Può la grandezza di un Impero misurarsi sulla base delle tonnellate di grano che produce e consuma? A giudicare dalla mostra “Nutrire l’Impero. Storie di alimentazione da Roma a Pompei”, all’Ara pacis dal 2 luglio al 15 novembre, si direbbe proprio di sì. In occasione dell’Expo 2015 lo spazio espositivo del moderno complesso ideato da Richard Meier, nato per preservare il magnifico altare di campo Marzio, dedica una mostra al cibo in chiave tutta romana.
La mostra presenta in modo abbastanza suggestivo un aspetto della grandezza dell’Impero romano del tutto nuovo e non intende solo soddisfare le curiosità più comuni sull’alimentazione degli antichi Romani, ma evidenzia anche quanto il cibo abbia influenzato la storia e i costumi di un’epoca lunga e ricchissima.
Nell’arco di tempo che va da Augusto a Costantino, ovvero dal 27 a.C. al 337 d.C., l’Impero romano contava tra i 50 e i 60 milioni di abitanti. Nutrire una tale concentrazione umana dovette essere un’impresa di portata non trascurabile. Soprattutto i Principi capirono bene che la fame costituiva la prima causa di rivolte popolari. Pertanto, da questo punto di vista, Roma si attrezzò per diventare una macchina amministrativa perfettamente funzionante. Gli Imperatori si fecero infatti carico dell’annona di Roma, ovvero del diretto fabbisogno alimentare dei suoi cittadini, che ogni mese ricevevano dallo stato, a titolo gratuito, 5 moggi di grano a testa (pari a 35 Kg di frumento).
Tuttavia, diceva Tacito nel terzo libro degli Annales, “Nessuno ricorda che l’Italia ha bisogno di risorse esterne e che la vita del popolo romano è esposta ogni giorno alle incertezze del mare e delle tempeste”. Perché di fatto la pratica dell’annona richiedeva un sistema di approvvigionamento delle risorse alimentari che andava ben oltre i confini della penisola. Di qui la spinta ad un’intensa politica di espansione dal momento che le numerose provincie provvedevano al pagamento dei tributi in natura, soprattutto sotto forma di olio, grano e vino.
La mostra pertanto racconta in modo dettagliato non solo la qualità dell’alimentazione di un grande Impero ma anche il modo di trasportare il cibo, la sua provenienza e la sua diffusione. Ad esempio, nonostante i Romani siano noti per la loro abilità nel costruire reti stradali assolutamente funzionali persino per i giorni nostri, la maggior parte dei trasporti di grano e olio avveniva via mare, su navi granarie e onerarie che, di costa in costa, percorrevano l’intero Impero per garantire l’approvvigionamento di cibo in ogni periodo dell’anno.
Plastici, modellini e sussidi video mostrano in che modo avvenisse il trasporto del cibo. Particolarmente interessanti sono le varie anfore esposte, oltre che per la varietà delle loro forme e dimensioni, anche per il fatto che molte di esse riportano sul fianco quella che si potrebbe definire a tutti gli effetti una vera e propria etichetta del prodotto indicante la provenienza del prodotto, la sua destinazione e persino la data prevista per la sua consegna.
Di grande interesse sono anche i vari reperti che attestano il rapporto quotidiano dei Romani con il cibo. Gli strumenti usati per la preparazione delle pietanze e dalla tavola e persino alcune delle pietanze stesse vengono direttamente dagli scavi di Pompei ed Ercolano, mentre attraverso sepolcri, fregi e affreschi si possono scoprire anche i dettagli del mestiere del macellaio, del fornaio e della pescivendola.
È noto che i Romani conoscevano e apprezzavano il piacere della buona tavola e la “sottile conoscenza dei sapori” (Orazio), ma nella frenetica vita della metropoli non disprezzavano la comodità di botteghe che potrebbero definirsi le antesignane dei nostri moderni fast food. Fuori casa infatti anche i Romani acquistavano a prezzi contenuti cibi pronti presso i cosiddetti thermopolia o popinae, solo Pompei ne contava circa 90, e in particolare gradivano molto le focacce calde, la trippa, le uova fritte e il vino.
Per quanto riguarda il vino poi il suo formidabile consumo e la sua fondamentale importanza nella dieta dei Romani indusse i prefetti ad inserirlo nella quota dell’annona come fonte di nutrimento anche per la plebe, insieme al grano e all’olio.
Infine, a testimonianza di quanto l’alimentazione ricoprisse per i Romani un ruolo di grande importanza nel piano amministrativo di tutto l’Impero, la mostra propone un grande panello raffigurante l’editto dei prezzi di Diocleziano risalente al 301 d.C. L’editto fissava il tetto massimo dei prezzi dei prodotti da vendere al mercato. Ad esempio 30 prugne gialle non dovevano costare più di 4 denari, come pure 25 fichi della migliore qualità, mentre un sestario italico di olio di prima torchiatura poteva arrivare a costare al massimo 40 denari.
Vania Amitrano
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