Il felino resta un enigma irrisolto nel romanzo visionario di Sibylle Lewitscharoff dedicato al padre della metaforologia.
Fin dall’antichità, la figura del leone ha suscitato nel nostro immaginario, un fascino magnetico, tanto da essere diventato simbolo di forza, coraggio e regalità. Il romanzo della scrittrice tedesca Sibylle Lewitscharoff, Blumemberg, pubblicato in Italia da Del Vecchio Editore nel 2013 e tradotta da Paola Del Zoppo, ha come suo protagonista principale un leone che soltanto il filosofo Hans Blumenberg riesce a vedere. Si direbbe quasi un leone immaginario, un’allucinazione rasserenante che irrompe nella vita dello studioso per confortarlo e guidarlo lungo il percorso delle sue intuizioni.
Con il tempo il leone diventerà per Blumenberg un amico silenzioso e fedelissimo, tutt’altro che immaginario, e nello stesso tempo un vero e proprio strumento di conoscenza, un filtro attraverso cui guadagnare una nuova chiarezza di pensiero e una diversa visione del mondo.
Sarà doveroso comunque ricordare che Hans Blumenberg, realmente esistito, è stato il padre della metaforologia, avendo egli studiato con grande acume metafore, miti, immagini ricorrenti e allegorie che hanno costellato il pensiero occidentale. Tuttavia Blumenberg non è affatto un romanzo biografico: gli eventi significativi della vita del filosofo, tra cui l’internamento in un lager nazista, sono lievemente accennati e non costituiscono il motore principale del racconto.
L’apparizione del leone è il motivo ricorrente di molte parti del romanzo, che ha come personaggi, oltre al già citato Blumenberg, una vecchia suora e quattro giovani studenti universitari che frequentano le lezioni del filosofo.
Le vite di questi giovani sono contrassegnate da un senso di incompiutezza e di vuoto. Quasi tutti i personaggi hanno un che di buffo e appaiono spesso nei loro comportamenti bizzarri, come per esempio Isa, studentessa, mentalmente instabile, innamorata segretamente del professor Blumenberg e propensa in maniera quasi patologica alla fantasticheria oppure Hansi che trascorre le sue giornate nei pub a declamare poesie. Nessuno di essi riesce a vedere il leone.
L’unico personaggio del romanzo che forse è riuscito a vederlo è Käthe Meliss, una suora in là con gli anni eppure in grado di esercitare su Blumenberg una “singolare forza attrattiva”, in virtù del suo grande carisma. Una metafisica forma di riscatto per i giovani studenti avverrà solo a fine libro: la stessa autrice ha affermato di aver voluto riunire nelle ultime pagine tutti i personaggi in una sorta d’iperuranio platonico.
A fine lettura di questo romanzo visionario, ricco di citazioni e riferimenti artistici, il leone rimane un mistero irrisolto; allegoria di un enigma senza soluzione, strumento di interpretazione del mondo, metafora e rivelazione, “riconoscimento del più alto grado” conferito dall’alto a Blumenberg, il leone esercita comunque sul lettore quello stesso magnetismo che nei secoli ha reso possibile la sua vasta iconografia.
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