“Il presidente del Consiglio ci ha detto che il Def non prevede nuovi tagli a carico dei comuni e che in ogni caso il governo intende discutere con l’Anci quando bisognerà redigere, sulla base del Def, la legge di stabilità”. Così il sindaco di Torino e presidente dell’Anci, Piero Fassino, al termine dell’incontro chiarificatore tra sindaci e premier sui tagli miliardari disposti nel documento di economia e finanza. Un incontro che ha permesso di “superare le incomprensioni e i fraintendimenti dei giorni scorsi” legati, perlopiù, al rischio di vedere ulteriormente ridotti i trasferimenti di risorse dallo Stato agli enti locali. Proprio Fassino aveva ricordato che tra 2010 e 2015 i Comuni hanno contribuito al risanamento dei conti pubblici dello Stato “per oltre 17 miliardi di euro. Non siamo più in grado di continuare a ridurre le nostre risorse”.
Una coperta corta, della quale l’Anci si era lamentata già dopo il taglio di 4 miliardi di trasferimenti disposti nella legge di stabilità varata alla fine del 2014, che costringe regioni e comuni a ritoccare verso l’alto la tassazione locale. Quanto ha inciso questo percorso sulle tasche dei cittadini lo ha definito con drammatica chiarezza il Codacons che, in una analisi sulla pressione fiscale diffusa oggi, ha evidenziato come tra il 1994 e il 2014 “i tributi locali richiesti sono aumentati del 277%” ovvero una spesa di “3205 euro in più a famiglia a livello di tasse”.
“Nel 1994 – spiega l’associazione – i contribuenti italiani hanno versato 27,776 miliardi di euro a titolo di tasse locali. Nel corso degli anni la pressione fiscale si è inasprita a livelli insopportabili, al punto che nel 2014 le
famiglie hanno versato per i tributi locali complessivamente 104,7 miliardi di euro per una media di 4.362 euro a famiglia”.
Facendo un rapido calcolo, dunque, si parla di 77 miliardi di euro in 20 anni solo per le imposte locali, quindi, al netto della pressione fiscale nazionale.
Il presidente Carlo Rienzi parla di “vergogna”. “Invece di ridurre sprechi e di intervenire sui costi – spiega – hanno reagito ai tagli decisi dell’amministrazione centrale aumentando la pressione fiscale. Al contempo, però, i servizi resi ai cittadini non solo sono diminuiti, ma sono anche peggiorati”.
A pesare, nel conto finale, anche la tassazione sugli immobili, che Confedilizia ha stimato su cifre a nove zeri nel solo 2014.
“Ad aumentare vertiginosamente – si legge nel dossier tassazione immobili presentato oggi dalla Associazione – è stata una specifica componente della tassazione sugli immobili, quella di natura patrimoniale. Quella – giova ricordarlo – che colpisce gli immobili al di là di qualsiasi reddito dagli stessi prodotto” e che va ad aggiungersi alle imposte su redditi e trasferimenti.
Confedilizia stima che nel 2014 il gettito di IMU e TASI sia ammontato a circa 25 miliardi di euro, contro il gettito Ici, fino al 2011, del valore di circa 9 miliardi di euro. “Le imposte locali sugli immobili si sono quasi triplicate” spiegano e “fra il 2012 e il 2014, la proprietà immobiliare ha versato complessivamente circa 69 miliardi di euro di imposte di natura patrimoniale”, mentre ai comuni vengono versati, dal 2012, “15/16 miliardi di euro in più ogni anno, il 50% in più rispetto all’entità dello sgravio degli “80 euro”.
Soprattutto, l’accento viene posto sul carico fiscale imposto dal governo Renzi rispetto a quello Monti sul comparto dell’edificato: un bilancio da un miliardo di euro in più per l’ex sindaco di Firenze nel 2014 rispetto alla Imu di Monti nel 2012.
“La necessità di ridurre la tassazione sugli immobili non è dovuta solo ad un’esigenza di equità – spiegano i proprietari – gravare gli immobili di un carico di tasse produce conseguenze negative a catena con riflessi evidenti e innegabili sulla crescita del Paese”.
Per Confedilizia è necessario “abbandonare la pigra (e ingiusta) tassazione su base catastale e creare un sistema che preveda la tassazione degli immobili esclusivamente per il reddito che essi producono” poiché è dal “fisco che bisogna ripartire” per dare vita a una “operazione fiducia” per il settore immobiliare.
Numeri dai quali, comunque, il governo deve partire nel disegno del nuovo percorso fiscale che regolerà i prossimi anni. Soprattutto per garantire il percorso di rilancio economico che lentamente, timidamente si sta delineando con sempre maggiore concretezza.
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