Dopo che l’esercito iracheno ha riconquistato Mosul dall’ISIS, è misteriosa la sorte di Abu Bakr al-Baghdadi, l’autoproclamato califfo dello Stato jihadista. Secondo al-Sumariya, una tv irachena, “una fonte nella provincia di Ninive” confermerebbe la notizia della sua morte.
“Le autorità di Daesh a Tell Afar, diventata la capitale provvisoria dell’ISIS dopo la caduta di Mosul, hanno annunciato la morte di Baghdadi senza fornire dettagli”, sostiene la fonte, che continua: “Hanno detto che il nome del nuovo califfo sarà annunciato presto”.
Nel 2016, al-Sumariya aveva già annunciato che il capo carismatico dei terroristi era rimasto ferito in un raid, ma poi ha ritrattato la notizia.
Sostiene che sia rimasto ucciso – ma anche qui senza specificare né dove né quando – anche l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (ONDUS), una ONG che dalla sua sede di Londra coordina una fitta rete di informatori sul territorio dell’altro Paese mediorientale.
L’ONDUS sostiene di avere ricevuto “informazioni confermate” da dirigenti dell’ISIS attivi nella provincia di Deyr az-Zor, nell’est della Siria, ai confini con l’Iraq. Lo scorso 28 maggio la Russia aveva annunciato di avere probabilmente ucciso il sedicente califfo in un bombardamento a sud di Raqqa, ma di non avere prove sufficienti a fugare ogni dubbio.
“La morte presunta di Baghdadi – aggiunge la stessa fonte citata da al-Sumariya – ha provocato un ‘colpo di Stato’ interno, con le rivalità per occupare le più alte cariche nella struttura del gruppo che hanno portato anche a scontri armati, e la proclamazione del coprifuoco in tutto il distretto”. Il breve comunicato diffuso dall’ISIS ai suoi miliziani “fa appello ai seguaci perché continuino a seguire la via del jihad, e si tengano al riparo da crisi interne”.
Intanto sul campo l’esercito iracheno è ancora impegnato contro le ultime sacche di resistenza dei jihadisti nella città vecchia, sulla riva ovest del Tigri. Gruppetti di miliziani sono ancora asserragliati nei quartieri di Qilayat e Shahwan e nel villaggio di al-Imam, alla periferia della città e a pochi chilometri dalla base militare di Qayyara, dove sono stanziati gli ufficiali iracheni e americani che coordinano l’offensiva. Ma il resto della città è stato messo in sicurezza, tanto che ieri il premier iracheno Haidar al-Abadi ha potuto visitare la città per proclamare la vittoria delle forze regolari sull’ISIS.
La battaglia è durata più di otto mesi: dopo una marcia di avvicinamento delle forze lealiste e dei peshmerga curdi da est, i primi colpi in città sono stati sparati il 1° novembre scorso. Mesi di combattimento – soprattutto nella città vecchia, dove i jihadisti si erano asserragliati intorno alla grande moschea di al-Nuri, che poi loro stessi hanno distrutto – hanno lasciato Mosul in ginocchio.
Ne parla nel dettaglio un rapporto di Amnesty International intitolato “A tutti i costi: la catastrofe dei civili a Mosul ovest”. Amnesty ha intervistato 151 tra abitanti della città vecchia, analisti ed esperti. Tra gennaio e metà maggio 2017 sono stati descritti 45 scontri, costati la vita a 426 civili e il ferimento di almeno altri cento. Nove di questi sono stati analizzati nel dettaglio. Durante la battaglia, l’ISIS ha usato “intere famiglie come scudi umani”, ma anche i lealisti si sono macchiati di atti ingiustificati: Amnesty li accusa di aver usato “armi inappropriate rispetto alle circostanze”, un velato riferimento ai bombardamenti che hanno ridotto in macerie interi quartieri, e ipotizza che “in alcune circostanze può essersi trattato di crimini di guerra”.
F.M.R.
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