Gli Usa piangono la scomparsa di un altro giornalista: Steven Sotloff, free-lance americano. Lo Stato islamico (Is) ha diffuso il video della decapitazione, rapito il 14 agosto vicino ad Aleppo, in Siria.
Trentunenne, originario della Florida, Sotloff parlava l’arabo e aveva collaborato con il settimanale Time ma anche con Foreign Policy, World Affairs, Cnn e Fox News, seguendo le crisi in Egitto, Turchia, Libia e Bahrein. La sue esecuzione era stata in qualche modo anticipata il 19 agosto nel video jihadista dell’esecuzione di un altro giornalista Usa, James Foley, in cui Sotloff compariva brevemente nelle ultime sequenze legato, con la tuta arancione e i capelli rasati a zero, mentre un miliziano vestito di nero lo teneva da dietro per la collottola. Le immagini erano accompagnate dall’avvertimento che la sua sorte sarebbe dipesa dalle prossime mosse di Barack Obama. Nei giorni successivi gli Usa avevano intensificato i bombardamenti contro le postazioni dell’Is nel nord dell’Iraq. Il 28 agosto la madre di Sotloff, Shirley, si era rivolta in un video direttamente al leader del gruppo militante sunnita Abu Bakr al-Baghdadi chiedendo la liberazione del figlio. “Steven non ha alcun controllo sulle azioni del governo degli Stati uniti, e’ un giornalista innocente” e “non dovrebbe essere punito per decisioni che non dipendono da lui”. “E’ un reporter che e’ andato in Medio Oriente per raccontare la sofferenza dei musulmani per mano dei tiranni”, aveva detto la donna implorando la grazia del ‘Califfo, “un figlio, fratello e nipote leale e altruista, un uomo generoso che ha sempre tentato di aiutare i deboli”. Anche sul sito governativo Usa WhiteHouse.gov era comparsa una petizione per chiedere a Obama di salvare Sotloff che in pochi giorni ha ricevuto migliaia di sottoscrizioni. Sotloff amava il mondo islamico e nei suoi reportage si era spesso concentrato sul lato umano dei conflitti mediorientali, ad esempio visitando i campi profughi dei siriani. Era un grande tifoso di basket, sosteneva i Miami Heat negli ultimi anni dominatori della Nba e sul suo profilo Twitter si definiva “un filosofo da cabaret di Miami”.
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