Prezzi in calo per le famiglie più povere e in aumento per quelle con maggiore capacità di spesa. L’Istat fotografa l’impatto dei prezzi sugli italiani nel secondo trimestre dell’anno, e registra come le abitudini di spesa abbiano generato il trend diffuso oggi nel bollettino che misura l’inflazione per classi di spesa delle famiglie.
“La debolezza dell’inflazione nel primo semestre 2015, sia pure con intensità diverse, ha interessato tutti e cinque i gruppi nei quali l’Istat ha suddiviso le famiglie italiane in base alla loro spesa complessiva (dalla più bassa del primo gruppo alla più alta del quinto)” si legge nell’analisi. Nel secondo trimestre 2015, tuttavia, gli “indici armonizzati dei prezzi al consumo mostrano, per tutti i gruppi di famiglie, segnali di una lieve ripresa tendenziale, interrompendo la flessione dei prezzi” in almeno due dei quattro gruppi per i quali nel primo trimestre era stata registrata una dinamica deflattiva.
Nel periodo preso in esame, infatti, “la dinamica tendenziale dei prezzi al consumo (pari in media a +0,1%) è compresa tra lo 0,3%, misurato per le famiglie con i più elevati livelli di spesa (quelle dell’ultimo gruppo), e il -0,2% per le famiglie con spesa media mensile più bassa (quelle del primo gruppo)”.
Il differenziale di inflazione tra il primo e l’ultimo gruppo è dovuto, stando agli analisti, tanto alla dinamica dei prezzi di prodotto, quanto alle abitudini di consumo specifiche di ciascun gruppo di riferimento.
Da registrare come la flessione dei prezzi dell’energia, un “aggregato la cui incidenza sul bilancio del primo gruppo di famiglie è più che doppia rispetto a quella dell’ultimo”, abbia avuto un ruolo importante nella deflazione.
L’accelerazione, “per quanto contenuta”, dei prezzi dei beni industriali non energetici e dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona ha invece “un impatto maggiore per le famiglie con livelli di spesa più elevati, che destinano quasi metà dei loro consumi a questi due aggregati”.
“Su un orizzonte temporale più lungo – si legge ancora – i prezzi al consumo delle famiglie” con i più bassi livelli di spesa “sono aumentati del 21,6% tra il 2005 e la prima metà del 2015. Sullo stesso arco temporale la crescita dei prezzi al consumo per le famiglie con maggiore capacità di spesa è stata pari al 18,3%. Per il complesso delle famiglie la variazione misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo è stata del 19,3%”.
Amaro il commento del segretario generale dell’Unione Nazionale Consumatori, Massimiliano Dona, che legge nei dati dell’Istat la dimostrazione del fatto che ”le famiglie più povere hanno talmente ridotto i consumi allo stretto indispensabile, da avere una minore inflazione rispetto a quelle più ricche, che possono permettersi anche spese non obbligate”.
Nonostante la media dell’inflazione “sia particolarmente bassa il differenziale tra il primo e l’ultimo gruppo è particolarmente elevato. Un segno delle differenze esistenti nei consumi tra chi arriva a fine mese e chi non ce la fa più”.
Si tratta dunque, per l’Unc, di “un indicatore delle disparità sociali”.
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