Il territorio italiano è esposto al rischio di dissesto idrogeologico per l’82% della sua estensione, 6633 comuni – su 8058 – secondo le stime di Legambiente. L’Associazione Nazionale Bonifiche, nella sua “Proposta di riduzione del rischio idrogeologico”, rileva 6 milioni di persone che abitano in un territorio ad elevato rischio idrogeologico; 22 milioni di persone in zone a medio rischio. 1 milione 260mila edifici a rischio idrogeologico, 6.251 di questi sono edifici scolastici, 547 ospedali. In 100 anni ci sono stati 12.600 tra morti, dispersi o feriti e più di 700mila sfollati: 293 decessi tra 2002 e 2014, 24 nel solo 2013. Numeri importanti ai quali, se si dovessero aggiungere i 242,5 miliardi di euro di costi dei danni per terremoti, frane, alluvioni che si sono succeduti dal dopoguerra – 3 miliardi e mezzo l’anno – e i 40 miliardi di euro complessivi stimati da Confagricoltura per la messa in sicurezza del territorio, di cui 11 solo per gli interventi urgenti, danno l’idea di quanto sia fragile e a rischio il Bel Paese.
Un problema che il Governo ha ben presente e che Matteo Renzi durante il suo discorso al Senato ha affrontato, annunciando un “piano per il lavoro che presenteremo a marzo” nel quale “ci sarà una sorta di piano industriale per i singoli settori”. Tra questi, per l’appunto, Renzi ha indicato gli “investimenti veri e profondi che si possono fare contro il dissesto idrogeologico in un Paese in cui abbiamo soldi bloccati e fermi – anche per responsabilità delle pubbliche amministrazioni – che gridano vendetta” anche in considerazione del fatto che “in questi anni abbiamo dovuto vivere con il fiatone certe emergenze che potevano essere affrontate in modo molto più semplice”. Si tratta tuttavia di un’emergenza annunciata, la cui gestione appare essere più complicata di quanto possa sembrare, tenuto presente che molti eventi calamitosi si ripetono con cadenza regolare sempre nelle stesse zone. Sempre secondo le analisi di Confagri, simili avvenimenti “sono da attribuire soprattutto al dissesto idrogeologico più che alla imprevedibilità delle precipitazioni, che acuiscono le criticità”.
Quello italiano è un territorio che per conformazione geologica è naturalmente predisposto al verificarsi di simili eventi. Il mutato regime delle piogge, e le modifiche operate dalle scelte dell’uomo hanno contribuito al concretizzarsi di uno stato di rischio per la gran parte del territorio: l’abbandono dei terreni collinari e montani, il disboscamento, l’abbandono dell’attività agricola che contribuisce alla adeguata manutenzione del territorio e del deflusso idrico, l’urbanizzazione abusiva e incontrollata – che sempre secondo l’Anbi “non ha tenuto conto della necessità di equilibrio idraulico del territorio” – l’occupazione delle pertinenze fluviali, la mancata manutenzione hanno innescato il meccanismo. La risposta data, però, è stata solo quella di una gestione dell’emergenza piuttosto che della prevenzione. Una scelta, questa che, sempre per Confagricoltura, fa lievitare la cifra necessaria alla messa in sicurezza del territorio italiano.
Già nella legge di stabilità, con coperture assicurate dalla razionalizzazione della spesa e del patrimonio pubblico, si punta all’azione sulla prevenzione, destinando quota parte del Fondo per lo sviluppo agli interventi di messa in sicurezza del territorio e di bonifica di siti di interesse nazionale. Si stabilisce inoltre di destinare risorse a interventi contro il dissesto idrogeologico immediatamente cantierabili finalizzati “alla riduzione del rischio, alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità”. Si istituisce inoltre un fondo per il finanziamento di un piano di tutela e gestione della risorsa idrica – 90 milioni per il trienno 2014 2016 –, un fondo per la bonifica delle discariche abusive – 60 milioni – e uno per la tutela dell’ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio.
Ma non basta, almeno per i costruttori che trovano, come già affermato dal presidente dell’Ance Paolo Buzzetti, “assurdo che con 1,6 miliardi di fondi stanziati da più di quattro anni non sia possibile stilare un elenco di opere necessarie e avviare procedure di gara trasparenti. Questo si potrebbe fare in due settimane”. “La manutenzione – ha spiegato Buzzetti – è la più importante infrastruttura. I soldi ci sono, vanno spesi subito, altrimenti il Paese crolla. A chiedere un grande piano di interventi ordinari di manutenzione è tutta la società civile: non ci sono più alibi e non c’è più tempo da perdere, in un Paese civile la sicurezza dei cittadini deve essere la priorità”. Una proposta che fa il paio con quella avanzata dai tecnici, e per ora rimasta sulla carta tra le stanze del Parlamento, che propone la messa in sicurezza del comparto dell’edificato, contro l’altro grande incubo del Paese: il rischio sismico.
In ogni caso, per quanto la politica pianifichi e parli all’indomani di un evento calamitoso, annunciando interventi e soluzioni, risuonano ancora come un –triste- monito le parole dell’ex ministro per la coesione territoriale Carlo Trigilia quando, in un’udienza parlamentare dello scorso novembre ha chiarito come dei 5 miliardi provenienti dal Fondo Sviluppo e Coesione programmati per il periodo 2007-2013 e destinati alla messa in sicurezza del territorio italiano, ne è stato utilizzato circa 1 miliardo. I motivi sono da ricercare nella incapacità di spesa “dovuta a carenze di tipo progettuale che rallentano o interrompono i processi di realizzazione, senza trascurare l’influenza limitante del Patto di Stabilità Interno sulla capacità di spesa delle Regioni”. Come a dire: i soldi ci sarebbero anche, mancano i progetti. Un bel problema per un Paese che deve suo malgrado coesistere con queste tipologie di rischio.
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