L’articolo 18 resta un ricordo. La Corte Costituzionale ha respinto il quesito del referendum proposto dalla Cgil che puntava a reintrodurre i limiti per i licenziamenti senza giusta causa. La Consulta ha invece detto sì ai quesiti per l’abrogazione dei voucher e la reintroduzione della responsabilità in solido tra appaltante-appaltatore.
Al termine della riunione di 2 ore a porte chiuse, i 13 giudici costituzionali, hanno dichiarato “inammissibile la richiesta di referendum denominato ‘abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi'”. Il referendum, per il quale la Cgil ha raccolto più di 3mila firme, intendeva non solo reintrodurre l’articolo 18 ma anche estendere la tutela originaria che partiva da aziende con 15 lavoratori ad aziende con 5 dipendenti.
Via libera invece per il quesito che chiede l’abrogazione dei voucher o buoni lavoro, come sistema di pagamento per le prestazioni accessorie, che il il Jobs Act ha esteso ai redditi fino a 7mila euro.
Infine, nel dispositivo si legge che la Consulta dichiara “ammissibile la richiesta di referendum denominato ‘abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti'”. In altre parole, se il referendum dovesse passare, il soggetto creditore verso più soggetti, potrà chiedere il risarcimento di quanto gli è dovuto ad entrambi, senza deroghe, per l’importo totale del credito.
I giudici relatori erano Silvana Sciarra per il primo quesito, Giulio Prosperetti per il secondo e Rosario Morelli per il terzo, mentre a rappresentare le istanze referendarie della Cgil vi erano i legali Vittorio Angiolini e Amos Andreoni. A sostenere invece la posizione dello Stato era l’avvocato Vincenzo Nunziata che ha parlato a nome della Presidenza del Consiglio chiedendo che alla Corte di pronunciarsi per l’inammissibilità dei quesiti.
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