La Cina ha svalutato di nuovo lo yuan, per la seconda volta in 24 ore dopo il taglio del 2% di ieri. La mossa intende contrastare il rallentamento economico del Paese con l’obiettivo di far ripartire la crescita ed evitare nuovi crolli in Borsa come quello che ha fatto perdere al listino di Shanghai il 30% della sua capitalizzazione rispetto ai picchi raggiunti a metà giugno.
La banca centrale cinese ha fissato il tasso di cambio odierno a 6.3306 contro il dollaro, ovvero dell’1,62% e lo yuan tocca un nuovo minimo da 4 anni, arretrando per il secondo giorno a quota 6,43 sul dollaro, e trascinando al ribasso altre valute asiatiche in un declino che – su un arco di due giorni – non si registrava dai tempi della crisi finanziaria del 1998, con effetti negativi a largo raggio sui mercati finanziari, dalle Borse alle materie prime.
La banca centrale cinese ha definito queste mosse una tantum, nel quadro di un nuovo sistema di gestione dei cambi che dovrà far più riferimento al mercato. “Attualmente – spiega la banca centrale – non ci sono le basi per un sostenuto trend di deprezzamento”. Tuttavia i mercati non gradiscono queste mosse, che di fatto mirano a sostenere l’export cinese e si teme l’avvio di una guerra valutaria.
Lo yuan in due giorni ha perso il 3,5% del suo valore in Cina e circa il 4,8% sui mercati globali. A risentirne oggi sono la rupia indonesiana e il ringgit malese, ai minimi da 17 anni, mentre il dollaro australiano e quello neozelandese scendono ai minimi da sei anni. Anche la Borsa di Tokyo soffre, con un ripiegamento in giornata tra l’1% e il 2% nonostante l’apprezzamento del dollaro anche nei confronti dello yen oltre la soglia di un cambio a 125. L’indice Nikkei ha chiuso in ribasso dell’1,58% a 20.392,77 punti.
Sotto pressione anche le piazze azionarie cinesi e di Hong Kong, mentre la Borsa di Singapore sta accusando la peggiore perdita giornaliera dallo scorso dicembre (intorno al 2,5%) trainata dal tonfo dei titoli bancari. Gli investitori di Borsa e dei mercati delle materie prime sembrano temere soprattutto il rallentamento della crescita economica cinese, di cui le nuove mosse della Pboc vengono interpretate come un chiaro segnale.
La People’s Bank of China, in una nota, ha cercato di calmare i mercati sottolineando che non esistono «basi» economiche o finanziarie perché il cambio si indirizzi con continuità al ribasso. Riconosce però che potrà verificarsi un «breve periodo di adattamento» al nuovo meccanismo per la fissazione della parità centrale giornaliera. Naturalmente Pechino non ha mai indicato il presunto motivo principale per la svalutazione, ossia il sostegno a una economia che sta rallentando più del previsto (con un calo dell’export dell’8,3% a luglio) e mette in forse l’obiettivo di una crescita annuale intorno al 7 per cento. Il deprezzamento dello yuan, secondo vari analisti, rischia tra l’altro di esportare deflazione del mondo.
La preoccupazione per una corsa a svalutazioni competitive crea presso gli investitori spinte di “fuga” verso asset di qualità, a partire dai titoli del Tesoro Usa e diventa un fattore destabilizzante per i mercati finanziari riducendo la propensione per gli asset di rischio, come titoli azionari e commodity. Anche i bond giapponesi hanno guadagnato, i rendimenti del decennale nipponico in calo allo 0,37%, minimi da tre mesi e mezzo.
Scivola anche Piazza Affari assieme alle borse europee sui timori legati alla situazione della Cina. Il Ftse Mib perde il 2,5%. Sotto pressione i titoli legati all’economia cinese come quelli del lusso e le auto. Yoox cede il 4%, Fca il 3,81%, Luxottica il 3,6% e Moncler il 3,6%.
Avvio pesante per le borse europee, ancora in affanno per i timori di instabilità legati alla svalutazione dello yuan e per gli impatti sulla crescita globale del rallentamento dell’economia cinese, confermata oggi dai dati su produzione industriale e investimenti. Parigi e Francoforte cedono l’1,8%, Madrid l’1,6%, Londra l’1,2% e Milano l’1,3%. Scivolano i titoli legati all’economia cinese come le auto (-2,6% l’indice Stoxx di settore), i titoli minerari (-3,3%) e quelli del lusso.
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