La patota, di Santiago Mitre, è un film particolare ma che decisamente piace alla critica. Al Torino Film Festival non riceve il premio come miglior film, ma i riconoscimenti non gli sono mancati. All’ultimo Festival di Cannes aveva vinto il Gran Premio Settimana Internazionale della Critica e il Premio Fipresci, mentre ieri, non solo ha ricevuto il Premio Speciale della giuria, ma anche una Menzione Speciale all’interno del premio Gli Occhiali di Gandhi e il Premio Achille Valdata.
Un thriller sociale molto introspettivo e per questo non dei più leggeri, ma denso di temi e riflessioni proposti con una tecnica narrativa intima e originale. La patota di Mitre, giovane regista argentino al suo terzo lavoro, è il remake dell’omonimo film del 1960 di Daniel Tinayre, basato un fatto di cronaca realmente accaduto.
In spagnolo patota significa banda. La patota è in effetti la storia di un’aggressione operata da una piccola banda, ma quello della violenza sulla donna non è il solo tema al centro del film. Paulina è una giovane giurista, figlia di un noto giudice di Buenos Aires, che decide di lasciare una brillante carriera nel campo legale per tornare a casa sua, al confine tra Argentina, Paraguay e Brasile, e insegnare nella scuola di un quartiere segnato dalla marginalizzazione. Una sera mentre rientra a casa viene assalita da una gang. Nonostante l’aggressione brutale, Paulina decide di non abbandonare il progetto e con forza anche maggiore continua a restare aggrappata alle proprie convinzioni.
Attraverso le scelte difficili di Paolina il film propone una serie di argomenti e di riflessioni assai intensi, sui quali però il regista sceglie di cogliere diverse prospettive. Santiago Mitre spiega: “In un mondo diviso dove le istituzioni servono a malapena da contenimento, un mondo che non riesce a fornire risposte, dove la violenza esplode con o senza una causa ovvia. Cosa può fare il cinema al riguardo? Molto poco, probabilmente nulla. Può solo fornire immagini, creare finzioni, concretizzare le idee, sollevare questioni, costruire un territorio di osservazione da cui far partire un filo di pensieri”.
Il rapporto padre-figlia e la necessità da parte dei giovani di seguire i propri alti ideali, a dispetto anche di ragionevoli dubbi, è uno dei primi temi che emergono nel film. Il padre è una figura forte e Paolina nel corso della sua storia, attraverso le proprie scelte spesso poco comprensibili, decide di opporvisi per affermare non solo la propria identità, ma anche un’ideale di giustizia diverso da quello tollerato e voluto dalla classe dirigente del proprio paese. Tuttavia è significativo che, nonostante i contrasti, non venga mai meno l’affetto che lega le due figure. In realtà è proprio l’amore del padre a dare a Paolina la forza di sostenere le proprie convinzioni nonostante il terribile peso che si dovrà portare dentro. Violenza, vittime, carnefici e giustizia sono in questo film concetti tutti da esplorare che restano aperti a diverse riflessioni.
La patota vince a Torino per aver raccontato la storia di un personaggio che “rinuncia a una risposta violenta davanti ad una aggressione; benché risarcimento e vendetta vengano offerti da più parti, la protagonista li rifiuta in favore di un percorso personale di comprensione e di ricerca della verità, anche a costo di non essere sostenuta e compresa”.
Il film si avvale anche della straordinaria interpretazione della protagonista, Dolores Fonzi, che vince il Premio come Miglior attrice al Torino Film Festival.
Vania Amitrano
Laureata in Lettere, amante dell’arte, dello spettacolo e delle scienze umane, autrice di testi di critica cinematografica e televisiva. Ha insegnato nella scuola pubblica e privata; da anni scrive ed esplora con passione le sconfinate possibilità della comunicazione nel web.
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