L’aveva detto subito dopo la condanna a morte per impiccagione. Saddam Hussein, il dittatore iracheno processato dopo l’invasione del suo Paese da parte di USA e Inghilterra salendo sul patibolo, rivolto ai capi occidentali che avevano decretato la fine del suo regime, aveva avvertito: “Quella dell’Iraq è destinata a restare una guerra tremenda e senza fine…. Qualcuno mi vendicherà”. E così è stato. Ed il primo a cadere sotto i colpi dei giustizieri sunniti, che hanno conquistato Mosul, è il giudice curdo Rauf Abdul Rahman, che nel 2006 condannò a morte Saddam.
Esultano i baathisti, i fedelissimi del dittatore, che da anni minacciavano il magistrato. Questi, nel 2005, aveva preso il posto di un altro giudice, troppo impaurito dalla figura di Saddam e dai suoi seguaci, per poterlo giudicare. Fuggito da Baghdad nelle scorse settimane, Rahman è stato catturato dai rivoluzionari e condannato a morte “per ritorsione dell’uccisione del martire Saddam Hussein”, secondo quanto dichiarato da un deputato giordano, in contatto con le tribù che vivono ai confini tra il suo Paese e l’Iraq. Alleati delle forze ribelli dell’Isis, i membri del vecchio partito Baath hanno come capo Izzat Ibrahim Al Douri, detto “il rosso“, unico tra i generali di Saddam ad essere sfuggito alla cattura, dopo la caduta del regime nel 2003. “Il rosso” non ha aspettato dichiarazioni del governo iracheno in carica e ha rivendicato l’omidicio del giudice, mostrando innanzitutto ai compagni di oggi, i sunniti jihadisti, che i basthisti sono di nuovo “attivi” e vogliono controllare il Paese. Per i suoi, non è solo un leader politico: negli ultimi anni ha creato un esercito clandestino chiamato “esercito che segue l’esempio di Naqshbandia“, pronto a combattere coloro i quali vogliono ostacolare i loro interessi, arrivando perfino a torturare e uccidere gli stessi islamici, indifferentemente sunniti e sciiti. Come ai tempi di Saddam, all’occorrenza si ricorre al riferimento religioso della setta dei sufi, che però non ha nulla in comune con la “guerra santa”islamica, professando al contrario un credo molto mite, pacato, senza pretese di proselitismo.
Oggi, i capi tribù guidati da Al Douri hanno consentito ai sunniti in rivolta contro il governo centrale iracheno di prendere possesso di città fondamentali sia da un punto di vista strategico che ideologico, come ad esempio Mosul, Falluja, Tikrit, ma non hanno esitato a usare le armi contro i “compagni”, di fronte alla pretesa dei miliziani dell’Isis di controllare, da soli, la raffineria di Baiji. Chiarissima la posizione di Naqshbandia, a detta di un suo rappresentante, Abu Tulaya Al Obeidi: “Adesso combattiamo con l’Isis, perchè il nostro nemico comune sono gli sciiti di Al Maliki, ma vogliamo proteggere il Paese dalle loro idee religiose, dal loro estremismo”. Pertanto, codice rosso per la sicurezza della regione mediorientale: se i due gruppi armati, ora uniti contro il premier iracheno, riuscissero a far cadere il governo in carica, passerebbero immediatamente dopo a combattersi per avere il controllo assoluto del Paese.
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