Quando, nella penombra della sua stanza, Annalise Keating si toglie la parrucca, si stacca le lunghe sopracciglia nere, rimuove il sofisticato make up, piange, lo spettatore comprende di trovarsi di fronte a un personaggio spiazzante. Se in una scena precedente l’avevamo vista in tribunale smontare come un ciclone, e con una dialettica straordinaria, i capi di accusa che inchiodavano un suo cliente, oppure in un’aula universitaria tenere una lezione su come commettere un omicidio e farla franca, di fronte alla donna che piange, improvvisamente invecchiata, che supplica amore e comprensione dall’uomo che dice di amare, capiamo che Annalise Keating ha spinto l’archetipo dell’antieroe ben oltre. L’antieroe, secondo la tradizione letteraria, anche nel caso in cui diventava protagonista, era comunque un vinto, un disadattato, un mediocre, una persona con uno scarso senso etico. La tendenza nelle nuove grandi produzioni televisive americane di farne un personaggio vincente secondo le categorie del mondo occidentale, quindi ricco, affermato professionalmente, persona di potere, modifica fortemente l’immagine tradizionale dell’antieroe. Questi raggiunge il successo nella vita non perché vince la sua mediocrità assimilando le virtù e gli ideali normalmente attribuiti all’eroe, redimendosi in poche parole, ma estremizzando lo scarso senso etico che lo contraddistingue arrivando a un disprezzo patologico per le regole, le leggi della società, provando indifferenza nei confronti dei sentimenti altrui, neutralizzando i sensi di colpa. Il rischio di sbordare nella sociopatia è, a questo punto, reale. Nel nostro caso, affinché un delitto sia perfetto, un crimine deve supportarsi con altri delitti, le persone devono essere manipolate e mosse con l’abilità del burattinaio. Inutile aggiungere che anche il pubblico deve subire la stessa sorte, in un legal thriller come questo, ogni giudizio, ogni convinzione appena elaborati vengono smontati da una nuova rivelazione, un nuovo colpo di scena, un impercettibile frame che ci passa sotto gli occhi. Pur usando le persone, manipolando la verità, mentendo, fingendosi vittima per svolgere il ruolo di carnefice, Annalise riesce a suscitare compassione nello spettatore perché, nell’ottica della manipolazione che passa attraverso l’auto-persuasione, conserva tratti di umanità che la fanno apparire come una creatura ferita, con una back story che va oltre ogni immaginazione.
Ma in quei momenti, quando è da sola e si toglie il trucco, la parrucca, piange, lei recita per se stessa e muove a compassione un pubblico che forse, senza queste scene strazianti, la condannerebbe, la disprezzerebbe per come agisce.
L’arma del delitto è una statuetta rappresentante la dea della giustizia, trofeo consegnato a turno al più abile dei suoi assistenti, un oggetto ambito da soggetti tutt’altro che puri e con “famiglie da schifo” alle spalle (per citare una frase di uno di loro), giovani che finiscono manipolati e coinvolti nell’omicidio di Sam il marito infedele di Annalise.
In queste nuove produzioni, che rappresentano un vero e proprio cambiamento epocale rispetto a un recente passato, i personaggi di contorno sono così ben strutturati, così interessanti da contribuire enormemente alla riuscita di un racconto seriale. Sono personaggi complessi, non tanto perché mostrano contraddizioni psicologiche, ma perché vivono forti contraddizioni morali, esattamente come Annalise. Sottomessi alla Keating, non solo per il ruolo che lei svolge come insegnante carismatica, ma perché hanno commesso il delitto, anche loro non lottano per un ideale, ma per superare ogni volta una prova morale che li sconvolge nell’intimo in quanto sono personaggi complessi nell’accezione che abbiamo appena stabilito.
Flash back, flash future, una sceneggiatura architettata da autentici geni, una regia eccellente, una recitazione senza eguali, fanno di “How to get away with murder” un prodotto inattaccabile dal punto di vista artistico, dimostrando come questo tipo di TV sia la nuova Hollywood. Il primo episodio in America è stato visto da più di 14 milioni di persone.
Con la nuova tendenza, ormai più che consolidata, delle serie d’oltreoceano (ma non solo) di porre alla ribalta come personaggio protagonista la figura dell’antieroe, per l’eroe pieno di virtù umane che si batte per un mondo migliore non c’è più spazio, la cultura umanista nella sua accezione più genuina viene congedata come superata, o quantomeno in grado di rispondere solo in modo grossolano ai grandi temi dell’esistenza umana. E se l’antieroe, per definizione, ha uno scarso senso etico, il passo successivo, come abbiamo dimostrato con Annalise Keating, è inevitabilmente quello di somigliare a un sociopatico.
Alessandra Caneva
Scritto e ideato da Peter Nowalk
Con Viola Davis, Peter Enoch, Jack Falahee, Matt McGorry, Aja Naomi King.
Prodotta da ABC Studios, ShondaLand
In onda su Fox da gennaio 2015
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