Il premier di Tripoli Khalifa Ghweil, capo del governo islamista non riconosciuto dalla comunità internazionale, si è dimesso ieri sera. L’esecutivo che si era battezzato “di salvezza nazionale” cede così il passo a quello di riconciliazione, guidato da Fayez al-Sarraj con la benedizione dell’ONU.
Ghweil avrebbe deciso di “cessare le proprie funzioni esecutive, ministeriali e presidenziali per mettere fine allo spargimento di sangue e alla divisione del Paese”, come si legge nel comunicato diffuso ieri sera.
Nel frattempo il General National Congress, l’organo legislativo che sosteneva il governo Ghweil, si è sciolto. I deputati hanno votato a maggioranza la trasformazione dell’organo legislativo in “Consiglio di Stato”, una delle istituzioni previste nel nuovo assetto istituzionale dello Stato libico, deciso negli accordi approvati a Skhirat, in Marocco, lo scorso 17 dicembre.
Nella decisione del GNC ha pesato sicuramente l’intervento dell’inviato speciale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha messo intorno allo stesso tavolo il presidente dell’assemblea, Nuri Abusahmain, ed esponenti del Consiglio di Presidenza, l’organo guidato dallo stesso Sarraj che ha nominato i ministri del governo di unità nazionale. Ankara fino a ieri era il principale sponsor internazionale degli islamisti di Tripoli.
Secondo indiscrezioni di stampa, per vincere le ultime resistenze dell’ala oltranzista del GNC sono serviti cinque emendamenti agli accordi di Skhirat, proposti dal mufti al-Sadiq al-Gharyani, autorità religiosa decisamente vicina a Ghweil. Questo non è bastato a ottenere l’unanimità: alla votazione decisiva erano presenti 94 deputati, secondo quanto riferisce la stampa libica. Ma quelli che hanno boicottato la seduta ora sono ridotti al ruolo di oppositori, non più un controgoverno rivale al progetto di stabilizzazione nazionale promosso dalle Nazioni Unite.
Che l’esecutivo di Tripoli avesse i giorni contati si era capito venerdì scorso, quando Sarraj, da poco sbarcato nella capitale, aveva ricevuto un bagno di folla nella piazza dei Martiri, quella che sotto Gheddafi si chiamava Piazza Verde. Da allora le istituzioni libiche hanno intrapreso una gara di dichiarazioni di fedeltà e attestati di stima per il governo di riconciliazione nazionale: domenica è toccato alla National Oil Company (NOC) e alla Banca centrale, ieri alla Libyan Investment Authority (LIA), il ricchissimo fondo sovrano istituito da Gheddafi alla fine dell’embargo economico nel 2006. Il suo presidente, Abdulmagid Breish, ha salutato l’insediamento del governo di riconciliazione nazionale come “un importante sviluppo verso la stabilità e l’unità in Libia”.
Quelli degli ultimi giorni sono “sviluppi incoraggianti” secondo il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, mentre il premier Matteo Renzi ha parlato di “un promettentissimo inizio”: “Speriamo che lavorino nel modo più inclusivo possibile”.
Intanto, nella capitale è aperta la corsa alla riapertura delle ambasciate: i primi governi ad annunciarla sono stati quello della Tunisia e quello della Francia.
Ieri l’inviato speciale ONU Martin Kobler ha finalmente messo piede a Tripoli per fare il punto della situazione con Sarraj e decidere una strategia comune per superare le resistenze della Camera dei Rappresentanti di Tobruk. In Cirenaica, infatti, i deputati hanno bocciato le sanzioni emesse dall’ONU contro Aguila Saleh, presidente della Camera, reo di non aver ancora ceduto il potere a Sarraj. E il ministro della Giustizia del governo guidato da Abdullah al-Thinni ha di nuovo definito “illegale” l’attività del Consiglio di Presidenza.
Dall’Egitto, però, il presidente Abdul Fattah al-Sisi ha definito “imperativo” appoggiare la formazione del governo di unità nazionale e l’unificazione delle forze armate: non ancora un appoggio esplicito a Sarraj, ma senza dubbio un messaggio che a Tobruk non deve passare inascoltato. “Non formerò un consiglio militare”, promette intanto Khalifa Haftar, uomo di fiducia dell’Egitto e comandante delle forze armate fedeli al governo Thinni. “È necessario che l’esercito resti ai margini della vita politica”, continua il generale. Ma ribadisce che sosterrà solo un governo approvato dal Parlamento che riconosce, cioè quello di Tobruk.
F.M.R.
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