Continuano le atrocità commesse in Libia in nome dell’ISIS. Venerdì 6 marzo, i miliziani avrebbero decapitato otto persone durante l’attacco contro il campo petrolifero di al-Ghani.
Le vittime dell’attacco, undici in totale, farebbero tutte parte del personale incaricato della sicurezza del sito. Gli assalitori avrebbero anche rapito altri nove dipendenti, quattro di nazionalità filippina, due bengalesi, un austriaco, un ceco e un ghanese.
L’attacco non è stato rivendicato, ma il ministero degli Esteri austriaco ritiene che gli esecutori siano uomini della “provincia libica dell’ISIS”, fondata a Derna da una costola di Ansar al-Sharia. I sospetti di Vienna ricadono sulla stessa cellula che nel mese di febbraio aveva diffuso il video della decapitazione di 21 cristiani copti egiziani.
Il campo di al-Ghani si trova nella provincia di al-Jufra, nella zona della Libia più ricca di risorse petrolifere, al confine tra le regioni storiche della Libia (Cirenaica, Fezzan e Tripolitania) e tra le zone d’influenza delle fazioni che si contendono il controllo sulla Libia.
Proprio contro gli impianti di estrazione e trattamento, e contro i porti dove transita l’oro nero, si è scatenata nelle ultime settimane la furia dei miliziani. Già martedì 3 marzo, i jihadisti avevano preso il controllo dei campi di al-Bahi e al-Mabrouk.
La recrudescenza delle ostilità ha costretto il NOC, la compagnia petrolifera nazionale libica, a sospendere le attività estrattive nella zona invocando ragioni di forza maggiore.
Gli impianti di al-Ghani sono tornati sotto il controllo delle forze di sicurezza. Lo ha affermato venerdì stesso il portavoce Ali Hassi, precisando che il contrattacco è costato la vita a sette dei suoi uomini.
Nel frattempo, in Marocco, proseguono i negoziati itineranti sotto l’egida ONU in vista di un accordo di unità nazionale fra i due Governi libici: quello riconosciuto dalla comunità internazionale, insediato a Tobruk e guidato da Abdullah al-Thinni, e quello di tendenza islamista insediato nella capitale Tripoli e presieduto da Omar al-Hasi.
Le trattative, che riprenderanno mercoledì 11 marzo, sembrano aver fatto qualche passo avanti negli ultimi giorni. Tuttavia, non mancano segnali anche nel senso opposto.
Sabato 7 marzo sarebbe avvenuto uno scontro a fuoco nei pressi dell’aeroporto di Brak, nella provincia di Wadi al-Shati. L’ONU ha già definito “una minaccia molto seria” qualsiasi violazione del cessate il fuoco.
Intanto, a Tobruk, il generale Khalifa Haftar ha giurato come Comandante generale delle forze armate libiche. Dopo aver tentato un colpo di Stato nel 2014 ai danni del Governo di Tobruk, Haftar si è schierato con le sue milizie a fianco del Presidente al-Thinni, lanciando l’operazione Karama (“Dignità”) contro il Governo di Tripoli.
La carica di Comandante generale, che il Parlamento di Tobruk ha creato lo scorso 25 febbraio su misura per Haftar, riunisce le prerogative di Ministro della Difesa e Capo di Stato maggiore.
Filippo M. Ragusa
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