“Io ho demolito un sistema e ora ricostruisco. Ma nel Pd volevano farmi cadere…”. Nel corso di una intervista televisiva ad un quotidiano della Capitale il sindaco Fanfugnazio Marino, per la prima volta, e dopo ripetute imbarazzanti smentite, conferma la vera entità dei rapporti che vive con il partito che due anni fa decise di farlo sedere sullo scranno dal quale si ammira dal Palazzo senatorio il capoccione del povero Marco Aurelio acquartierato sul suo splendido destriero.
Che nel partito democratico pochi amassero l’attuale sindaco, questo era cosa nota. Che nel Pd la soluzione Marino fosse stata presa come il male minore per un partito in crisi divorato da fazioni, contrasti politici i ed affaristi di ogni risma che non rappresentavano certo il contraltare migliore per una città in ginocchio uscita da cinque anni di gestione alemanniana, anche questo era cosa arcinota.
Che al Nazareno, prima durante e dopo la conquista di Renzi della segreteria, il Pd romano e tutta la poderosa squadra di Mafia Capitale la facesse ancora da padrona grazie alla micidiale macchina da guerra del malaffare e della corruzione messa in piedi da Buzzi, Odevaine, Ozzimo e compagnia cantando, non era un mistero per gli addetti ai lavori. La cosa più sconcertante è che per due anni, pur sapendo che cosa avveniva nella citta eterna il sindaco, per evitare le conseguenze politiche e giudiziarie di uno sfascio dove il Pd era parte centrale e strategica, faceva finta non conoscere i fatti e le regole accettate con i capibastone del partito (in cambio dell’elezione) per lasciar lavorare in pace quel mondo di mezzo,di sopra e di sotto dove regnavano sovrani Buzzi e Carminati.
Poi dopo la bomba giudiziaria ecco emergere dalle macerie Fanfugnazio Marino che rivendica il ruolo di demolitore ovvero di colui che avrebbe fatto partire tutto in forza di quella tempra “morale” con la quale ancora oggi prova a fare le bucce al partito che ha “smarrito la diritta via”. Il bluff tanto impudente quanto irritante per tutti ha i giorni contati. Basta aspettare ma se Marino pensa di scindere le responsabilità proprie da quelle del partito indebolito e corrotto di cui è figlio, sbaglia e di grosso i suoi calcoli.
Ma cerchiamo di capire meglio la situazione. Il procuratore generale di Roma Giuseppe Pignatone si è mosso appena insediato, per indagare si ma anche rimuovere quei comportamenti omissivi che la magistratura fino a quel momento aveva assicurato ai Rutelli ai Veltroni e agli Alemanno di turno.
La verità però è ben più grave se si guarda alle responabilità della sinistra che, a partire dal 1992 ha governato Roma, con esclusione del quinquennio di Alemanno. Le stratificazioni del malaffare trovano radici profonde nella storia della città postbellica. Il sacco di Roma fatto dai sindaci Dc nel dopoguerra rappresentano ancor oggi uno sfregio fisico e morale nei confronti di una Capitale che meritava sorte migliore. Ma questo non significa che l’amministrazione capitolina non potesse e dovesse cambiare pelle.
Era un compito che si era assunta la sinistra. Ma ciò non è avvenuto. Si è preferita la strada più comoda e redditizia della corruzione e del malaffare. Del voto di scambio, della paralisi amministrativa e gestionale. Come e peggio della vecchia Dc e dei suoi alleati di sempre, socialisti in testa. Oggi secondo una indagine demoscopica condivisa da tutti i maggiori istituti di rilevazione statistica il 67,8% dei cittadini romani pensa esattamente questo e dice anche che, se si dovesse andare a votare domani, Marino prenderebbe solo il 16,8% dei consensi. Conclusioni. Tra il Pd e Fanfugnazio non c’è feeling. Ma soprattutto non c’è empatia e amore tra il sindaco incapace e la sua cittadinanza. Ed è di questo che il presidente del consiglio, suo malgrado, dovrà farsi carico. Si spera solo che il commissariamento giubilare, già avviato, eventualmente allargato alle altre competenze possa rappresentare il primo e miglior biglietto da visita per mettere alla porta Fanfullazio e la sua triste esperienza alla guida della Citta eterna.
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