Si inaugura domani, presso il centro commerciale Euroma2, a Roma, la rassegna MassArt, ideata e curata dallo scrittore Pier Luigi Manieri. L’esposizione che ospita artisti contemporanei fino al 26 marzo, è al suo terzo appuntamento. Quest’anno al centro del dibattito è il tema dell’ego – declinato in tutte le sue forme, come espressione dell’io e come rapporto tra sé e gli altri – indagato attraverso la pittura, la scultura, la fotografia e la moda. Molteplici le domande sull’argomento: quali sono i limiti di una società ego-centrica? Senza ego sono realmente possibili grandi imprese? Quando è conformismo e quando, invece, uno stile di vita bello e dignitoso? Qual è lo spartiacque tra apparenza, preludio al vuoto valoriale, e la sostanza che alimenta l’eccellenza? Manieri ha curato tanti eventi di prestigio tra cui: “Urania: stregati dalla Luna”, “Il cinema italiano al tempo della Dolce Vita”, “Effetti Speciali”, “Radar-Esploratori dell’immaginario”, “Etruria Cinema”. Lo abbiamo incontrato per chiedergli, tra le altre cose, quali sono i segreti per un evento di successo.
Lei è curatore di manifestazioni di prestigio, esperto e critico di cinema, scrittore e saggista. Quale veste le calza meglio, in quale si sente più a suo agio?
Tutte, perché ognuna di esse mi appaga, mi intriga e mi angoscia allo stesso modo.
I suoi eventi si concentrano a Roma. Quanto è attaccato alla Capitale in cui è nato e ha sempre lavorato? In cosa è speciale questa città?
Direi molto perché Roma è l’Urbe. E’ l’unica città al mondo in cui si attraversano un paio di millenni in poche centinaia di metri e dove sacro e profano sono davvero tangibili.
Ha ideato e curato Massart presso il centro commerciale Euroma2. Quest’anno il leit-motiv è l’ego. Crede che stiamo diventando una società individualista? L’ego ha solo accezioni negative?
L’ego non ha accezioni negative. E’ l’io, quindi ciò che ci definisce interiormente. La società individualista non dipende dall’ego, ma dall’effimero. Secondo Nietzsche l’individuo salva la società. Dovremmo cercare di non ragionare mai per luoghi comuni.
Ha da sempre un grande legame con gli artisti e gli scrittori avendo curato la programmazione del Centro Culturale Elsa Morante e della Biblioteca Guglielmo Marconi. Quali sono le iniziative da promuovere per avvicinare il grande pubblico a un vernissage o alla presentazione di un libro? Che suggerimento darebbe ad artisti e scrittori per farsi notare e cavalcare l’onda della modernità?
La soluzione è quella di guardare al pubblico. Purtroppo in Italia c’è un atteggiamento paradossale, per il quale chi promuove cultura lo fa in termini di preclusione e non di inclusione. Questo vale per un testo, ovvero si scrive per sé e non per chi legge, ma anche per una mostra, che viene fatta ovunque tranne dove c’è gente. Da qui l’idea di proporla in un centro commerciale, perché contemporaneamente si moltiplica la fruibilità e si fa interagire anche chi non è abituato a certi argomenti. In sostanza manca un dialogo vero perché a forza di mantenere integro il sé si rischia di non comunicare più nulla.
Visto che è un esperto di cinema, può farci un esempio della non comunicazione legato al grande schermo?
Margherita Buy, attraverso i vari personaggi che interpreta, parla a se stessa, invece Anna Magnani la ricordano tutti, perché riesce a essere universale. Solo quando si toccano le corde del pubblico si ha un riscontro nel tempo.
Per tornare all’onda della modernità, il grande Oscar Wilde diceva: “Nulla è pericoloso quanto l’essere troppo moderni. Si rischia di diventare fuori moda”. Lei cosa fa per risultare modernamente antico e anticamente moderno?
Sono semplicemente e pigramente me stesso. Mi vesto nello stesso modo da una trentina d’anni, non abbandono le mie abitudini, ma tengo desta la curiosità per il nuovo. Prediligo il libro al kindle, una cena con una donna ad una fredda chat. Il pc lo uso solo per lavoro e non ho la connessione internet a casa.
Lei è stato anche insegnante di organizzazione di eventi per il Master sul linguaggio del turismo e comunicazione interculturale di Roma 3. Come le sembrano gli studenti di oggi? Quali sono le principali differenze che ha notato da quando era lei lo studente?
I giovani hanno una quantità enorme di mezzi che non sanno usare. Noi lavoravamo col fax e avevamo un computer da età della pietra, però sapevamo creare. Oggi si limitano a replicare, non capendo gli strumenti che hanno in mano.
E’stato consulente d’immagine e comunicazione di marchi ed enti di alto profilo. Che qualità bisogna avere per cogliere nel segno in questo campo?
L’ideatore di marchi deve avere le stesse caratteristiche di un creativo qualsiasi. Un grafico in particolare ha la cultura del visivo, conosce la grafica pubblicitaria e d’impresa. Un marchio per dirsi riuscito deve continuare ad essere seduttivo. Se pensiamo all’intramontabile Adidas, era d’impatto negli anni ’60 e lo è ancora oggi. La Coca Cola, per esempio, è talmente penetrata nell’immaginario comune che pubblicizza involontariamente qualsiasi cosa ad essa associata.
Come si sta orientando il mercato in questo senso? C’è qualcosa che proprio non sopporta?
Mi infastidiscono due filoni in particolare. Faccio l’esempio delle automobili. La prima suggestione in voga è la percezione al femminile dell’auto, la seconda è l’auto come filosofia di vita, il ritrovare se stessi attraverso di essa. Tutto ciò è fuorviante perché nella pubblicità bisogna vendere un valore aggiunto. Il valore non è la percezione femminile, né il valore esperienziale, bensì l’auto.
Si è cimentato anche con la regia di reading video musicali. Ce ne può parlare?
Sono due: “Iconico & Fantastico” e “Il cinema dei telefoni bianchi”. Ho anche fatto un corso di recitazione con Gianni Diotaiuti e condotto un programma tv, “Update”. Il piacere di dirigere c’è sempre stato, ma occupandomi di altro, l’ho limitato a performance più sintetiche.
Erika Eramo
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