Con il suo minareto pendente, anzi storto – ribattezzato al-Hadba, “il gobbo” – era da secoli il simbolo di Mosul. Ma era anche il luogo dove Abu Bakr al-Baghdadi si era autoproclamato califfo, a luglio del 2014.
Ora la moschea di al-Nuri non c’è più: al suo posto, nelle ultime immagini satellitari scattate durante la battaglia, solo tante macerie.
Costruita nella seconda metà del XII secolo, rimaneggiata dai Persiani nel Cinquecento e intitolata a Nur al-Din Zengi, il potente principe dell’epoca delle crociate che la fece costruire, ora la moschea si è aggiunta alla conta delle vittime della battaglia di Mosul, un confronto serrato e spietato che si combatte da ottobre scorso. Da una parte qualche migliaio di miliziani jihadisti votati al martirio, dall’altra almeno dieci volte tanti soldati dell’esercito regolare iracheno (più gli irregolari e i peshmerga, che si sono fermati alle porte della città). In mezzo, a pagare il prezzo più caro, una città che un tempo aveva due milioni di abitanti ed era da secoli un faro della multiculturalità del Medio Oriente.
Secondo gli USA, la moschea è stata minata dai miliziani dell’ISIS: forse per non dare al nemico la soddisfazione di entrare in trionfo dove loro avevano proclamato la loro potenza, oppure per colpire le truppe di Baghdad, che nella loro lenta e pericolosa avanzata sono arrivate letteralmente a pochi passi dal luogo sacro.
Se così fosse, sarebbe l’ultima voce di una lunga lista di tesori del patrimonio culturale irrimediabilmente distrutti dai jihadisti; con l’aggravante di essere un luogo vivo e vissuto, oltre che un monumento, e per giunta inequivocabilmente islamico. Viceversa, secondo Amaq – l’agenzia di propaganda del Califfato – a compiere il misfatto sarebbero state bombe sganciate da aerei americani.
Prevedibilmente, Washington nega che a colpire la moschea possano essere stati i suoi bombardieri. Il portavoce della coalizione, il colonnello Ryan Dillon, ha detto che nel momento e nel luogo della distruzione non era in corso alcun raid.
Secondo il generale USA Joseph Martin, intervistato dalla BBC, la moschea era “uno dei più grandi tesori di Mosul e dell’Iraq”: distruggerla è “un crimine contro il popolo iracheno” commesso dall’ISIS, un “esempio del perché questa brutale organizzazione vada annientata”.
Secondo il premier iracheno Haider al-Abadi, distruggendo la moschea, l’ISIS ha presentato al mondo la sua “dichiarazione formale di sconfitta”.
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