Torna altissima la tensione fra le due Coree. Secondo Pyongyang, la decisione di Seul di interrompere la collaborazione nel polo industriale di Kaesong, che i due stati rivali gestivano insieme dal 2003, corrisponde a “una dichiarazione di guerra”.
Come ha ammesso ieri lo stesso ministero per l’Unificazione della Corea del sud, il provvedimento era stato preso per togliere fondi ai rivali del nord, accusati di usare i proventi del parco industriale – stimati in 616 miliardi di won, circa 457 milioni di euro dal 2003 a ieri – per finanziare il loro programma nucleare.
Nei mesi scorsi si sono moltiplicati i test missilistici da parte del regime di Kim Jong-un: gli ultimi lanci sono avvenuti gli scorsi 6 e 8 febbraio, hanno incontrato la condanna unanime di ONU, NATO, USA, Giappone e Corea del Sud, ma hanno “suscitato ansia e preoccupazione” anche a Pechino, se si crede alla dichiarazione ufficiale affidata all’agenzia di stampa di Stato Xinhua. I primi provvedimenti si sono presi a Tokyo, dove il governo ha annunciato nuove sanzioni in segno di ritorsione. Sulla stessa strada si sono già avviati gli USA: ieri il Senato di Washington ha ratificato a tempo di record nuove sanzioni già approvate da democratici e repubblicani alla Camera dei rappresentanti.
Secondo la BBC, Pyongyang ha reagito annunciando la chiusura di “due canali di comunicazione strategici con il sud”. Non è una novità: era già successo nel 2013, quando Kim Jong-un era già succeduto al padre Kim Jong-il alla guida del paese. In quell’occasione, le comunicazioni fra i due stati rivali erano riprese senza troppi clamori appena la tensione internazionale si era allentata.
A ben vedere, anche il riferimento a una “dichiarazione di guerra” non deve preoccupare più di tanto: le due Coree non hanno mai firmato un trattato di pace dopo la guerra che le ha divise, agli albori della guerra fredda.
Segnali più allarmanti sono contenuti in un rapporto stilato da esperti dell’ONU e pubblicato dall’agenzia AP. La Corea del nord elude l’embargo internazionale sui materiali utilizzabili per lo sviluppo dell’arsenale nucleare, si legge nel documento. Si finanzia vendendo razzi, componenti balistici e armi di seconda mano a Stati in possesso di tecnologie meno avanzate; ma a consentire questa condotta è soprattutto il “basso livello di attuazione” delle sanzioni commerciali internazionali, approvate dall’ONU nel 2006, alla ripresa dei test nucleari. La loro applicazione, in teoria, spetterebbe applicare a tutti i 193 stati rappresentati al Palazzo di vetro: quindi gli esperti sono costretti a concludere sollevando “importanti questioni sull’efficacia del regime di sanzioni”.
E così James Clapper, il direttore dell’Intelligence nazionale USA, denuncia che Pyongyang è in grado di costruire una bomba atomica “nel giro di mesi, se non settimane”. In un’audizione al Congresso, il capo dell’intelligence americana ha riferito che il regime ha riacceso il reattore nucleare del centro ricerche di Yongbyon, 100 km a nord di Pyongyang, e continua a portare avanti il programma ignorando tutte le condanne e le sanzioni della comunità internazionale. Clapper si è detto preoccupato anche a causa dei nuovi modelli di missili intercontinentali annunciati dalla Corea del nord, che secondo lui costituiscono una minaccia anche per la costa occidentale degli USA.
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