Le ha versato addosso della benzina e poi le ha dato fuoco: è morta così una giovane pakistana del Punjab, colpevole di aver rifiutato una proposta di matrimonio. L’assassino, pretendente respinto, aveva insistito per vederla ancora una volta e chiederle di sposarlo. Si era presentato alla famiglia di lei e aveva ottenuto l’approvazione degli uomini di casa. Mancava solo l’assenso della ragazza che, invece, si ostinava a rispondere “no”. Così, nell’ultimo incontro, convinto di ricevere l’ennesimo rifuto, aveva portato con sè il liquido infiammabile, perchè quell’offesa doveva essere vendicata. La ragazza è morta in ospedale: inutili i tentativi dei medici di salvarla, dato che aveva ustioni gravissime su tutto il corpo. L’uomo è stato arrestato dalla polizia e accusato di omicidio volontario, ma probabilmente non sconterà alcuna pena: il codice penale pakistano, infatti, prevede la grazia per i condannati perdonati dalla famiglia delle vittime.
Purtroppo, non è un caso limite della violenza e dell’arretratezza in cui sono costrette a vivere molte donne in Pakistan, specialmente nelle zone rurali più povere: secondo alcune ong locali, solo nel 2013 un centinaio di donne sarebbero state sfigurate dall’acido e quasi mille potrebbero essere stati i “delitti d’onore”, una cifra puramente approssimativa, perché spesso questi reati non vengono nemmeno denunciati. E hanno indignato l’opinione pubblica occidentale anche altri due crimini, particolarmente efferati: il primo, nella parte orientale del Paese, è costato la vita ad una giovane coppia, colpevole di essersi sposata senza l’approvazione della famiglia di lei. Proprio i parenti della donna avrebbero confessato di essersi introdotti, con una scusa, nella casa degli sposi e di averli uccisi entrambi a coltellate.
Il secondo crimine, invece, è stato commesso a Lahore: una ragazza, al terzo mese di gravidanza, è stata lapidata in pieno giorno dal fratello e dal padre, “colpevole” anche lei di aver sposato un uomo non gradito ai suoi. I parenti hanno prima cercato di freddarla con alcuni colpi di pistola, poi, aiutati da altre persone, l’hanno presa a sassate. La giovane era stata in tribunale per difendere suo marito dall’accusa di sequestro, intentata proprio dalla sua famiglia, e per ribadire ancora una volta che l’uomo non l’aveva costretta a sposarla.
Di fronte a tanta violenza, la speranza viene da una ragazzina di sedici anni, Malala Yousafzai, la più conosciuta rappresentante della lotta per i diritti femminili in Pakistan. Malala, che rischiò di morire per mano dei talebani, quando le spararono in faccia per impedirle di studiare e diffondere “idee troppo occidentali”, disse all’Assemblea delle Nazioni unite: “Non m’importa se devo sedere sul pavimento di una scuola. Tutto quello che voglio è l’istruzione”. E chissà quando tutte le ragazze pakistane potranno essere artefici del proprio futuro e vedere riconsociuti quei diritti che noi “occidentali” reputiamo fondamentali e inalienabili.
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