Si è conclusa con una messa a Ciudad Juarez, al confine tra gli Stati Uniti, la visita di Papa Francesco in Messico. E’ la prima volta che un Pontefice visita questo Paese, troppo spesso noto solo per i cartelli della droga e per la povertà dei suoi abitanti.
Nella sua omelia celebrata nella “capitale dei narcos”, Papa Francesco ha voluto rivolgersi a tutti i fedeli (messicani e americani) che assistevano alla messa divisi dalla rete metallica che delinea il confine.
“Non possiamo negare – ha detto Bergoglio – la crisi umanitaria che negli ultimi anni ha significato la migrazione di migliaia di persone, sia in treno, sia in autostrada, sia anche a piedi attraversando centinaia di chilometri per montagne, deserti, strade inospitali”.
La tragedia umana della migrazione forzata non si misura in cifre ma in “nomi, storie, famiglie dei tanti fratelli e sorelle che partono spinti dalla povertà e dalla violenza, dal narcotraffico e dal crimine organizzato”.
Donne e giovani. Per queste violenze, frutto di “tanti vuoti legali”, sono i giovani quelli che a rimetterci in misura maggiore, diventando “come carne da macello, perseguitati e minacciati quando tentano di uscire dalla spirale della violenza e dall’inferno delle droghe”.
“E che dire delle tante donne alle quali con la violenza è stata ingiustamente tolta la vita!” ha aggiunto il Papa.
Se con le nuove tecnologie ci fanno vivere “sempre connessi”, esse possono essere un ulteriore aiuto per avvicinarsi l’uno l’altro, per “pregare, cantare e festeggiare insieme l’amore misericordioso che Dio ci dona, e che nessun confine ci può impedire di condividere”.
“Grazie, fratelli e sorelle a El Paso – ha concluso il Pontefice –, per farci sentire una sola famiglia e una sola comunità cristiana”.
Prima della messa, Francesco si è recato a Cereso, Prisión Numero 3 di Ciudad Juárez, che ospita circa tremila detenuti. Lì fino al 2010, lo stesso direttore Jorge Bissuet Galarza doveva chiedere il permesso ai narcotrafficanti per entrare.
“Gesù mai ci inviterebbe ad essere sicari, ma ci chiama discepoli. Egli mai ci manderebbe a morire, ma tutto in Lui è invito alla vita” era il tweet del Papa dal suo account @Pontifex.
Bisogna resistere alla tentazione di “procurarsi il pane con il sudore altri, o persino con la vita altrui”, a rassegnarsi a fare il male, perchè, aveva detto il Pontefice all’inizio di questo viaggio nelle terre di frontiera, “la rassegnazione è l’arma preferita dal demonio”.
Laurea magistrale in Storia contemporanea presso L'Università degli studi Roma tre. Master di primo livello I mestieri dell’Editoria, istituito da “Laboratorio Gutenberg” di Roma con il patrocinio del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale presso “Università Sapienza di Roma”. Dopo la laurea ho svolto uno stage presso Radio Vaticana, dove ho potuto sperimentare gli infiniti linguaggi della comunicazione.
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