“Renzi sta governando con il mio 25%. Non chiedo certo riconoscenza ma rispetto”. Così Pier Luigi Bersani, ai microfoni de La 7, mette i puntini sulle i e ridefinsce il contesto del dibattito che si sta consumando in questi giorni all’interno del Partito Democratico. E va oltre Jobs Act e articolo 18, considerato che secondo l’ex segretario “sulla legge di stabilità ci sarà un punto decisivo”.
Non sembra affatto spegnersi il clima di tensione nella maggioranza, che si scontra sul filo delle modifiche al testo della legge delega sul lavoro. Modifiche sulle quali le minoranze interne al Pd si schiacciano in maniera unitaria. Ieri alla Camera dei Deputati si è svolto un incontro tra Civati, Fassina, D’Attore, Boccia, Cuperlo, Bindi, Pollastrini e Chiti, rappresentanti delle varie anime del Pd, e Cesare Damiano, nella cui commissione si sta consumando la battaglia sul nuovo testo del lavoro. Proprio in quella sede si è parlato di “decine di defezioni nelle aule parlamentari” qualora Renzi ottenesse un voto positivo sul jobs act in direzione di partito.
‘Minacce’ che però vengono rispedite al mittente dal vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani: “Per come conosco io Renzi credo non accetterà diritti di veto da parte di nessuno”.
Una spaccatura che si cerca di scongiurare in ogni caso, evitando il voto a maggioranza al Nazareno, cosa che sarà possibile solamente con una mediazione sul testo che garantisca la reintegrazione dei lavoratori prevista nell’articolo 18.
Le minoranze dem chiedono anche delucidazioni circa le coperture finanziarie degli ammortizzatori sociali che dovrebbero accompagnare parte della riforma del governo Renzi.
Ammortizzatori quantificati da Stefano Fassina in circa 4 miliardi di euro. Risorse che ad oggi vanno trovate con una “migliore revisione della spesa”, come affermato dal ministro Madia.
“La posta in gioco è fare una riforma che aggredisca davvero la precarietà – ha spiegato Fassina – la discussione mediatica si concentra sull’articolo 18, ma gli emendamenti che abbiamo condiviso ieri, presentati da una quarantina di senatori, hanno al primo posto l’eliminazione della maggior parte dei contratti precari”.
Anche il ministro Madia, in una intervista alla Stampa sostiene il testo oggi in discussione e la definisce “riforma di sinistra, molto attesa da tutte le persone che in questi ultimi 20 anni hanno aspettato diritti mai arrivati: salario minimo, diritto alla maternità per tutte, ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro”.
“Obiettivo della legge – secondo il ministro – è dare diritti a chi non li ha. Ci sono decine di contratti, noi invece vogliamo unificare. Se siamo tutti più sinceri si potrà fare una discussione serena”. Bisogna però “partire da dati di realtà: oggi per la mia generazione il diritto al reintegro è superato dai fatti”.
Tentano di gettare acqua sul fuoco Dario Ginefra, che auspica una
“una pacata discussione che abbia al centro il merito e che veda l’epurazione di ogni forma di estremismo e di ogni gioco di posizionamento” restituendo “unità ai gruppi, e il deputato Guglielmo Vaccaro che dal suo profilo twitter bolla il confronto sull’articolo 18 come “battaglia ideologica e guerra di posizione inutili . Nel concreto della quotidianità è uno strumento già superato dai fatti”.
Durissimo l’affondo del Movimento 5 Stelle al governo dell’ex sindaco di Firenze, che dalle colonne del blog di Grillo rivolge un invito alla coalizione con i dissidenti del Pd per “mandare definitivamente a casa Renzi”.
“Lo scontro che si sta profilando – si legge in un post a firma Aldo Giannuli – impone che abbiamo tutti molta generosità, mettendo da parte recriminazioni pur giuste, per realizzare la massima efficacia dell’azione” da cui ci si attende “non solo il ritiro di questa infame ‘riforma’” ma anche l’opportunità di chiudere questa stagione di governo.
“Renzi – aggiunge- sta riuscendo dove non sono riusciti Monti e Berlusconi. Questo sarà uno scontro generale che avrà conseguenze che andranno molto oltre la questione in sé, esattamente come si pensa di fare dall’altra parte della barricata”.
Quindi l’invito ai “compagni del Pd cosa aspettate ad occupare le sedi e far sentire la vostra voce? O siete diventati tutti democristiani?”.
Pronta la replica del capogruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza: “Caro Grillo e’ il tuo populismo il vero nemico delle sinistra. il @pdnetwork vuole riforme e diritti per tutti. Tu stai con Farage”.
Critiche anche da Forza Italia, i cui voti al Senato potrebbero fare la differenza sull’approvazione della riforma.
Per Giovanni Toti “se il testo resta quello che Renzi ha inviato alle Camere, è un’ottima base di discussione e contribuiremo a sostenerlo. Se invece scegliesse di accettare una mediazione al ribasso per tenere assieme le numerose anime del suo partito, ci troveremo costretti a dire di no”.
“Nell’articolo 18 vedo un ‘bonsai’ della spaccatura irreversibile nel Partito democratico – ha dichiarato il deputato forzista Francesco Paolo Sisto intervenendo ad Agorà Rai3 – Abbiamo la manovra economica, l’articolo 18, la giustizia, la decretazione d’urgenza: su questi punti il Pd è in deflagrazione continua”.
Anche Sel è pronta a farsi sentire, con 350 emendamenti, e dando piena disponibilità a votare quelli presentati dalla minoranza del Pd. Per il coordinatore nazionale Nicola Fratoianni, il ddl è una “delega in bianco” quando invece la materia merita “una discussione vera” e non “un braccio di ferro o la minaccia di un decreto”. Quindi l’appello a Renzi e a Napolitano “affinché siano assicurate le garanzie costituzionali. La delega non contiene come dovrebbe principi stringenti cui attenersi né si può intervenire con un decreto su una materia come quella del lavoro”.
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