Il premier, Matteo Renzi
È tutto a posto. Dal salotto di Porta a Porta il presidente del Consiglio Matteo Renzi torna sul tema pensioni. “La sentenza della Consulta – ha spiegato – avrebbe imposto al governo di ripagare 18 miliardi di euro ma i cittadini sanno che non ha senso spendere 18 miliardi per dare i rimborsi anche a chi sta abbastanza bene o bene”. “Per me sarebbe facile stare a lamentarmi del passato – ha proseguito – questa legge io non l’ho votata perché non c’ero. Io dico solo una cosa: c’era un problema? L’abbiamo risolto nel giro di quindici giorni”. La soluzione, come noto, riguarderà ”3 milioni e 700 mila italiani che dal primo di agosto avranno più soldi” e, per coronare l’individuazione della soluzione, Renzi punta sulla possibilità di “andare in pensione con un po’ piu’ di flessibilita’”. “Per la legge Fornero, ci sono donne sopra i sessanta anni che vorrebbero andare in pensione, stare con i nipoti. Senza stare a fare promesse: con la legge di stabilità stiamo studiando un meccanismo per dare un pochino di libertà in più”. Non solo. Si cancellano i dubbi sull’ipotesi di decurtazione delle pensioni: “Chi si è versato i contributi ed ha la pensione alta e’ un conto. I parlamentari che hanno due o tre pensioni e’ un altro. Su questo tema bisogna avere chiarezza: se hai messo da parte soldi è giusto che tu li tenga”. La parola fine alla querelle nata dalla sentenza della Corte Costituzionale che, cancellando la legge Fornero, impone allo Stato il pagamento a tutti i pensionati di quanto non percepito negli anni in cui la legge ha prodotto i suoi effetti, però, sembra scriverla il ministro Giuliano Poletti. Se infatti un pensionato che non rientra nel gruppo di quelli rimborsati nell’una tantum disposta da Renzi, volesse fare ricorso, lo dovrebbe fare sulla base del decreto presentato ieri. E per il ministro del Lavoro se è legittimo che ogni cittadino abbia “titolo di ricorrere quando reputa di avere un diritto leso” è altrettanto chiaro che “chi volesse ricorrere dovrebbe partire da un punto di vista diverso che e’ il nuovo decreto”. ”La Corte ha deciso così ma adesso le cose sono cambiate perchè c’è un nuovo decreto – ha aggiunto Poletti – Noi siamo convinti di aver ottemperato correttamente a quanto la Corte ci chiedeva, se è così o non è così, l’unico soggetto che può ottemperarlo è la Corte”. Quindi, nei fatti, la palla tornerebbe alla Consulta, cosa che allungherebbe i tempi a disposizione di palazzo Chigi anche solo per reperire 18 miliardi di euro che, evidentemente, non erano nelle disponibilità delle casse nazionali. Quello che è stato definito “bonus Poletti” – anche se tecnicamente si tratta di una restituzione e non di un extra concesso dal Governo – proprio non convince. Né l’opposizione, né i sindacati. In mattinata Ignazio La Russa, Fdi, ha annunciato l’istituzione di “un comitato di avvocati per inviare una diffida al Governo, prodromica per una class action”. Per l’ex ministro Passera si tratta di “manovre elettorali”. “Trasformare l’interpretazione di una sentenza in un bonus –ha affermato – addebitandolo tra l’altro a uno dei ministri meno performanti dell’esecutivo per far vedere che lui può disporne come meglio ritiene, assicura a Renzi la palma d’oro della sceneggiatura non originale”. Il decreto di ieri è invece “una prima risposta che riteniamo non sufficiente e conclusiva” ha sostenuto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ricordando quanto fosse ancora ampia “la distanza tra le cifre prelevate dalla pensione e quanto restituito”. Per il segretario dell’Ugl, Francesco Paolo Capone, “quello che Renzi ha definito ‘simpatico bonus’, in realtà è solo una tranche del maltolto realizzato dal governo Monti a danno dei pensionati. Un’operazione che già abbiamo definito puramente elettorale, simile a quella degli 80 euro, oltretutto usata per mettere l’una contro l’altra le generazioni, anziani e giovani, e le fasce più deboli della società”. Rimane uno spiraglio di discussione per il deputato Pd Francesco Boccia, che ai microfoni del Tg5 ha spiegato che “il governo con questi due miliardi ha fatto una mossa coraggiosa. È evidente che da soli non sono sufficienti per risolvere il problema delle pensioni ma oggi era importante fare il primo passo per rispondere alla sentenza della Consulta”, lasciando intendere che potrebbe essere valutato un ulteriore intervento successivo. Secondo il presidente dell’Inps, Tito Boeri, “la priorità è la povertà”. “Se il governo avesse impiegato i 18 miliardi, che è il costo della sentenza della Consulta, per aumentare le pensioni, è chiaro che oggi la possibilità di adottare misure di contrasto alla povertà sarebbe stata molto più difficile”. Sta di fatto che il pasticciaccio nato con la riforma del governo dei professori, e risolto con quella che ha tutta l’aria di essere una soluzione tampone in equilibrio tra la quadratura dei conti economici attuali e i probabilissimi ricorsi che verranno avanzati da chi è stato escluso da un rimborso cui ha diritto per sentenza della Corte Costituzionale, non sembra essere prossimo a una soluzione realmente concreta e soprattutto finale. Una toppa, la cui tenuta ha la scadenza delle prossime tornate elettorali, che si distingue bene anche solo nella scelta del nome voluto dal Governo, bonus piuttosto che rimborso, che può diventare fin troppo facile gancio per ancor più facili tornate di propaganda.
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