Non a caso fu denominata Peste nera (o grande morte oppure morte nera): nel XIV secolo fu un’epidemia che solo in Europa decimò almeno un terzo della popolazione. Approdò allora dall’Asia centrale nei porti mediterranei di Messina, Costantinopoli, Ragusa di Dalmazia e Venezia, nota come la città del commercio, che intratteneva scambi di prodotti con l’estremo oriente.
Si ripresentò poi nel ‘600, la peste di manzoniana memoria ampiamente descritta ne I promessi sposi e Storia di una colonna infame. Fu un’epidemia particolarmente virulenta che in un solo anno (1630-31) causò oltre un milioni di morti, su 4 milioni di abitanti nell’Italia Settentrionale.
Ma la ‘morte nera’ ha una storia antichissima. Può testimoniarlo un team internazionale di ricercatori, guidati dal Max Planck Institute for the Science of Human History, che analizzando due genomi Yersinia pestis ‘vecchi’ almeno 3.800 anni, si può risalire ad un’origine nell’Età del bronzo per la peste bubbonica. Il ceppo identificato dai ricercatori è stato recuperato da una doppia sepoltura nella regione di Samara in Russia: i due scheletri avevano lo stesso ceppo del batterio al momento della morte. Lo studio, pubblicato su ‘Nature Communications’, mostra dunque che questo ceppo è il più antico sequenziato finora a contenere i fattori di virulenza considerati caratteristici della peste bubbonica, ed è ancestrale ai ceppi che hanno causato la peste di Giustiniano, quella nera medievalee l’epidemia del XIX secolo in Cina. La peste, da batterio Yersinia pestis, causò alcune delle pandemie più letali del mondo antico e continua a colpire ancora oggi. Nonostante ciò, l’origine della malattia non è ancora ben compresa. In particolare, non è chiaro esattamente quando e dove Y. pestis abbia acquisito il profilo di virulenza che gli consente di diffondersi usando le pulci come vettore. Studi recenti su antichi genomi hanno identificato le sue prime varianti conosciute, risalenti al tardo Neolitico e alla prima Età del bronzo, ma questi genomi non mostravano le firme genetiche ritenute cruciali per rendere la malattia particolarmente insidiosa.
Nello studio, guidato dal Max Planck Institute for the Science of Human History, i ricercatori hanno analizzato nove soggetti sepolti in alcune tombe in un sito in Russia. Due di questi corpi erano stati infettati da Y.pestis al momento della morte. I due sono stati sepolti insieme in un’unica tomba, risalente a circa 3.800 anni. L’analisi del Dna umano ha mostrato che si trattava di soggetti appartenenti della cultura di Srubnaya della regione di Samara, come mostrano anche i resti archeologici. “Entrambi avevano lo stesso ceppo di Y. pestis – commenta Kirsten Bos del Max Planck – Questo ceppo ha tutte le componenti genetiche note per la forma bubbonica della malattia. Insomma la peste, con il potenziale di trasmissione che conosciamo, è molto più antica di quanto pensassimo”. I ricercatori hanno usato i dati raccolti, insieme a quelli relativi a precedenti mappature del Dna di ceppi di peste, per datare il ceppo appena identificato a circa 4000 anni fa. “La nostra peste possiede tutte le caratteristiche genetiche necessarie per un’efficiente trasmissione in roditori, esseri umani e altri mammiferi”, conclude Maria Spyrou del Max Planck Institute for Science of Hman History, prima autrice dello studio.
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