Dopo le primarie nell’Indiana Donald Trump non ha più rivali. Ted Cruz, il senatore ultraconservatore che il Partito repubblicano aveva investito del ruolo di sfidante, si è ritirato dalla corsa alla nomination.
Cruz ha gettato la spugna a scrutinio in corso, quando si sono iniziati a delineare i profili dell’ennesima batosta della sua campagna elettorale. Trump ha ottenuto più della metà dei voti espressi: quando lo scrutinio era arrivato al 75% delle schede, le preferenze per il miliardario newyorkese erano il 52,8%, quelle per il senatore texano languivano al 36,9%. Il terzo candidato, il governatore dell’Ohio John Kasich, raccoglie ancora le briciole – per lui ha votato il 7,7% degli elettori – ma per il momento non sembra deciso a rassegnarsi. In Indiana ha rinunciato a fare campagna elettorale nel tentativo disperato di aiutare Cruz, che d’altra parte ha incassato anche l’appoggio del governatore locale, Mike Pence. Tutti questi elementi hanno contribuito a trasformare una sconfitta non troppo diversa da tante altre in una Waterloo.
“Abbiamo dato tutto quello che avevamo, ma gli elettori hanno scelto un’altra strada”, ha detto Cruz dal palco di Indianapolis. Accanto a lui tutta la famiglia e la sua aspirante vice Carly Fiorina, passata ad appoggiarlo – dopo aver tentato lei stessa la strada della candidatura – per provare ad attirare il voto delle elettrici donne.
Nel suo discorso di ringraziamento, Trump ha reso l’onore delle armi al rivale sconfitto, e ha definito “coraggiosa” la sua decisione. Si è trattato di un dietrofront netto rispetto ai toni della vigilia: il miliardario ha sostenuto una tesi, che circola nonostante la totale assenza di prove, che vorrebbe il padre del senatore – un esule cubano – coinvolto nell’omicidio del presidente John F. Kennedy. Nel discorso d’addio di Cruz, invece, non c’è traccia di Trump, etichettato prima del voto come “un bugiardo seriale”.
Il senatore è l’ultima vittima del ciclone Trump, che in questi mesi di campagna ha sconvolto l’establishment repubblicano. Stamattina il Daily News, un tabloid conservatore di New York, è uscito con una provocatoria copertina che mostra l’elefantino a stelle e strisce – simbolo del Grand Old Party – in una bara, con il 2016 come data di morte. Per gli oppositori di Trump resta soltanto la flebile speranza che Kasich gli sottragga abbastanza voti da non permettergli di arrivare alla convention di Cleveland a risultato acquisito. Ma l’impresa è titanica: la sua era una delle candidature giudicate più deboli in partenza, e la sua fama per molti versi si ferma ai confini del suo Ohio. Trump invece è in netta ascesa: un sondaggio nazionale lo vede oltre il 41% di consensi, per la prima volta davanti a Hillary Clinton, la probabile candidata democratica. Anche esponenti di primo piano del partito si sono rassegnati ad accettare la sua candidatura. Ad esempio il presidente della Commissione nazionale, Reince Priebus, che ha affidato a Twitter un appello a “unire il Partito e concentrarsi per sconfiggere Hillary Clinton”.
La resa di Cruz ha rubato la scena all’altra sorpresa della giornata: in campo democratico, la Clinton è stata battuta di misura da Bernie Sanders, in un testa a testa all’ultimo voto che all’inizio la vedeva in vantaggio. Il senatore del Vermont ha ottenuto il 53,2% delle preferenze, contro il 46,8% dell’ex Segretario di Stato. Un premio all’ostinazione di Sanders e un segnale inequivocabile che gli elettori dem sono divisi, ma lo scarto fra i due è minimo e non cambia gli equilibri all’interno del partito. Il senatore, d’altronde, ha già ammesso di non poter più ottenere la nomination.
F.M.R.
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