Nuove accuse alla Turchia da parte del presidente russo Vladimir Putin. Nella conferenza stampa di fine anno al Cremlino, un appuntamento che si ripete dal 2001, Putin ha puntato di nuovo il dito contro il governo di Ankara, reo, secondo lui, di aver deciso di abbattere il caccia russo accusato di aver sconfinato per “fare cosa gradita agli USA” o per “mostrare agli USA e alla UE di essere un partner affidabile”.
L’abbattimento “non è stato un atto di inimicizia ma un atto ostile”, ha sostenuto Putin, e le relazioni fra i due stati ne sono uscite talmente compromesse che non rimane più alcuna “possibilità di appianare le relazioni con la Turchia o trovare un terreno comune con l’attuale leadership turca”.
Poi il presidente è passato a una vera e propria minaccia: “Se prima l’aviazione turca violava lo spazio aereo della Siria, che voli ora”. A questo proposito Putin ha ricordato di aver installato missili terra-aria S-400 nelle basi militari in territorio siriano.
“In Turchia vedo un processo di islamizzazione strisciante”, sostiene ancora Putin: “Ataturk – il presidente della Repubblica che fra le due guerre mondiali decise di laicizzare la struttura dello stato turco, abolendo il califfato anche come carica puramente simbolica e chiudendo le università islamiche tradizionali – si starà rivoltando nella tomba”.
La diatriba con Ankara ha tenuto banco per gran parte della conferenza, durata più di tre ore e che ha coinvolto quasi 1400 giornalisti.
Fra gli altri argomenti, si è parlato anche di prospettive di cooperazione con gli USA contro l’ISIS. “La Russia è pronta a lavorare con l’America e con qualunque presidente gli americani decideranno di eleggere”, ha annunciato il presidente, al di là della sua dichiarata preferenza per Donald Trump – “persona vivace e talentuosa senza alcun dubbio”, “un leader assoluto”.
“Sono gli americani”, ricorda però Putin, “che cercano di indicarci tutto il tempo che cosa dobbiamo fare nel nostro paese, chi eleggere chi non eleggere e che procedure usare. Noi non lo facciamo mai, non ci intromettiamo”.
Il presidente riconosce gli sforzi dell’amministrazione di Barack Obama per cercare di risolvere i problemi con uno sforzo comune, ad esempio con la recentissima visita a Mosca del segretario di Stato John Kerry.
Ma in ogni caso “nessuno ha il diritto di imporre chi debba essere il leader di un paese”, con riferimento particolare al presidente siriano Bashar al-Assad, nei cui confronti la posizione ufficiale della Russia “non è cambiata”.
Ferma restando l’alleanza con la Siria – che dura da quando nel paese mediorientale salì al potere Hafiz al-Assad, padre e predecessore di Bashar – la Russia potrebbe eventualmente decidere di smantellare la base militare permanente che ora sorge a Latakia, sulla costa siriana. “Se dobbiamo colpire qualcuno – ragiona Putin – siamo in grado di farlo” anche usando missili lanciati direttamente dal territorio russo.
Putin ha parlato abbondantemente anche dell’impegno russo in Ucraina, dove ha riconosciuto la presenza di suoi connazionali incaricati di “compiti nella sfera militare” fra i ranghi dei separatisti filorussi nel bacino del Don. “Non abbiamo mai detto che non ci siano persone con determinati incarichi anche nella sfera militare”, ha precisato, “ma questo non significa la presenza di truppe regolari”.
“La Russia vuole rispettare gli accordi di Minsk”, ha sostenuto ancora Putin, che però ha accusato Kiev di applicarli in modo “manipolatorio”. Il presidente ha accusato il suo omologo ucraino Petro Poroshenko dello “sterminio delle persone che vivono nel Donbass” e di aver “sputato in faccia al popolo ucraino” quando ha nominato governatore della regione di Odessa Mikheil Saakashvili, l’ex presidente della Georgia caro a Washington – che per l’occasione ha acquisito la cittadinanza ucraina e perso quella georgiana: per questo non può più essere estradato a Tbilisi, dove lo aspetta un processo per abuso di potere che ritiene mosso da motivazioni politiche – che era in carica nel 2008, quando le forze armate di Mosca intervennero nel paese caucasico per assecondare le richieste degli autonomisti dell’Ossezia del sud.
F.M.R.
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