All’improvviso sembrava essersi profilata all’orizzonte del presidente del Consiglio Matteo Renzi l’ipotesi dello spacchettamento del quesito referendario sulle modifiche alla Costituzione. Sino a un paio di settimane fa, sia pubblicamente che nei colloqui con i suoi fedelissimi, non faceva che ripetere di non avere alcuna intenzione di cambiare una virgola ai suoi piani. Oggi, forse perché percepisce di trovarsi davvero in difficoltà – l’ultimo sondaggio effettuato da Ilvo Diamanti per Demos attesta i “sì” al 37% e i “no” al 30%: una distanza che da febbraio ha fatto perdere al ‘si’ ben 13 punti – si pensava avesse invertito la rotta di marcia inviando la ministra Maria Elena Boschi ad incontrare il segretario dei Radicali Riccardo Magi. Il messaggio è stato invece: “Niente raccolta firme per dividere i questiti.
Sul cosiddetto “spacchettamento” del referendum sulla riforma costituzionale, sulla quale gli italiani dovranno esprimersi forse a ottobre, più probabile il 6 novembre, vanno però chiariti alcuni punti alla luce dei quali l’operazione risulta, se non impossibile, piuttosto impraticabile. Vediamo perché. L’idea, avanzata dai Radicali per primi seguiti poi dai Socialisti del sottosegretario Riccardo Nencini, risale a molto tempo fa. Si tratterebbe di sottoporre all’elettorato, invece che un unico quesito, tra i tre e i cinque. Questo per evitare che chi vota sia obbligato a dare un parere omogeneo su una riforma che riscrive ben 41 articoli della Costituzione su 139 e che riguarda argomenti tanto eterogenei: dalla funzione del Senato alle nuove autonomie regionali alle regole sui referendum. I sostenitori dello spacchettamento ritengono inoltre che sottoponendo agli elettori più quesiti, costoro avrebbero più facilità a esprimersi nel merito di ciascuno e non per simpatia o antipatia nei confronti di qualcuno, ovvero Matteo Renzi.
Forza Italia mantiene il suo ‘no’ convinto: “In merito alla discussione in atto sull’eventualità di uno spacchettamento del quesito referendario, Forza Italia ha già detto chiaramente che non è in alcun modo disponibile ad offrire il proprio assenso a questa modalità di procedere. Questo non solo perché non siamo disposti ad accettare quello che risulta essere solo l’ennesimo imbroglio messo in campo per confondere ancora di più i cittadini, ma anche perché si tratterebbe di una gravissima violazione del dettato costituzionale”. Lo afferma il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta.
L’iniziativa nata da Riccardo Magi ad oggi è ferma a trenta firme. Trenta deputati in maggioranza di Area popolare — fra questi Fabrizio Cicchitto e Paola Binetti — e uno soltanto del Pd, che è Franco Monaco. Nonostante l’attivismo dei radicali e del vice ministro Riccardo Nencini, altro promotore della raccolta, i parlamentari non vogliono saperne e non intendono firmarlo. Domani Magi proverà a raccogliere le firme a Palazzo Madama ma anche qui i senatori — se si escludono i rappresentanti di Area popolare, che hanno appunto sposato la raccolta — non rispondono alla chiamata. E per i Radicali il tempo stringe. Il termine ultimo per presentare la richiesta in Cassazione sarà giovedì.
Ci sono però delle obiezioni suscettibili di diventare oggetto di ricorso. Intanto bisognerebbe stabilire se è ammissibile che gli elettori votino una riforma spacchettata quando i loro rappresentanti in Parlamento l’hanno già votata in toto e non certo articolo per articolo. Inoltre, per presentare il referendum nella nuova formulazione multipla sarebbe necessario raccogliere di nuovo, ed entro il 15 luglio, le firme di un quinto dei deputati, ossia 126, e di un quinto dei senatori, ossia 64. A quel punto la Cassazione avrebbe a disposizione fino a metà agosto per poter ammettere i nuovi quesiti. Non è escluso che, vista l’urgenza, il verdetto possa arrivare in tempi molto più brevi ma, visto che non è mai accaduto prima che sulla stessa materia arrivassero due richieste diverse, è molto complicato immaginare di che tipo di verdetto possa trattarsi.
Inoltre, se i richiedenti non dovessero essere soddisfatti delle eventuali modifiche apportate dalla Cassazione, potrebbero ricorrere alla Corte Costituzionale che prima del prossimo autunno non riuscirebbe a formulare un giudizio. La conseguenza sarebbe di veder slittare inevitabilmente la data del referendum di molti mesi, addirittura nel 2017. Il che vorrebbe dire prolungare, che è quello che in realtà molti auspicano, questa legislatura fino alla sua scadenza naturale del 2018.
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