Per sapere la verità sull’omicidio di Giulio Regeni bisognerà aspettare ancora. I nodi sulla collaborazione fra Italia ed Egitto nelle indagini non si sono sciolti nemmeno dopo la seconda giornata del vertice romano fra investigatori e inquirenti italiani e le loro controparti arrivate mercoledì sera dal Cairo.
Dall’Egitto sono atterrate sei persone fra magistrati e ufficiali. Il capo delegazione è il procuratore generale aggiunto Mostafa Soliman; lo accompagnano il segretario del procuratore generale Mohamed Hamdy el-Sayed, il generale Adel Gaffar della Sicurezza nazionale, il vicedirettore della polizia criminale di Giza Mostafa Meabed, il vicedirettore del dipartimento Indagini criminali di Giza Alaa Azmi e Ahmed Aziz.
La delegazione italiana è composta dal Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, il sostituto Sergio Colaiocco, titolare del fascicolo sull’omicidio di Regeni, il direttore del ROS dei Carabinieri Giuseppe Governale e quello dello SCO della Polizia, Renato Cortese.
La delegazione egiziana ha consegnato un dossier sulle indagini svolte finora sul sequestro e la morte del ricercatore, ma ha chiarito di aspettarsi una reazione uguale e contraria da parte italiana.
Dai faldoni, poi, mancano ancora elementi che gli inquirenti di Roma hanno richiesto più volte a gran voce: l’analisi delle celle telefoniche agganciate dal cellulare di Regeni, fondamentale per ricostruire i suoi spostamenti, e una spiegazione coerente e credibile del motivo per cui i suoi documenti siano tornati alla luce improvvisamente, due mesi dopo l’omicidio, a casa di una donna che secondo gli investigatori egiziani sarebbe la sorella del capo di una presunta banda di sequestratori di stranieri.
Tra il materiale consegnato, invece, ci sono dei filmati di telecamere di sorveglianza, relativi per la precisione a un tratto di strada fra l’abitazione di Regeni e la fermata della metropolitana di el-Behoos dov’è stato visto per l’ultima volta lo scorso 25 gennaio. Ma i video non contengono indicazioni chiare, al contrario di quanto ha scritto certa stampa egiziana. D’altra parte, se davvero quei video consentissero di ricostruire “nel dettaglio il modo in cui è stato perpetrato il crimine”, pur senza poter “risalire al criminale”, resterebbe da spiegare perché mai gli egiziani abbiano insistito tanto sulla loro inesistenza o irrilevanza.
Nel dossier ci sarebbe anche il referto della prima autopsia, quella eseguita al Cairo subito dopo il ritrovamento del corpo senza vita di Regeni. E ci sarebbe spazio anche per un “registro delle chiamate del suo telefono” e “testimonianze di ufficiali e amici”. Quando tutti questi documenti saranno tradotti dall’arabo, bisognerà capire se il materiale fornito basta a soddisfare le richieste della procura romana. Si sa che gli inquirenti italiani hanno chiesto agli egiziani i tabulati completi del telefono di Regeni per gli ultimi due mesi, hanno già in mano quelli degli ultimi tre giorni prima della sua scomparsa, e vorrebbero avere accesso anche a quelli di una dozzina di altre utenze, usate dalle persone a lui più vicine: amici, vicini di casa, rappresentanti dei sindacati e dei venditori ambulanti, con cui intratteneva un fitto carteggio per il suo progetto di ricerca.
L’impressione è che gli inquirenti italiani, al netto del dovuto riserbo e delle cautele diplomatiche del caso, non siano ancora soddisfatti del livello raggiunto dalla cooperazione. D’altro canto, la magistratura egiziana rivendica di essere la principale titolare dell’inchiesta e l’unica in grado di indagare direttamente sul campo. Anche per questo, la delegazione del Cairo ha fatto presente di avere anch’essa una lista di richieste per la controparte italiana: ci sono elementi acquisiti dalla procura di Roma, come il contenuto del computer di Regeni, su cui gli inquirenti egiziani non hanno potuto lavorare. In condizioni ottimali, l’esistenza di elementi diversi da mettere in comune faciliterebbe le immagini. Ma nelle circostanze del caso Regeni – la sfiducia reciproca, l’atteggiamento competitivo e i numerosi depistaggi – le trattative potrebbero rivelarsi un ostacolo in più, da superare a costo di tempo e fatica.
Per ora, sta di fatto che né gli italiani né gli egiziani hanno ancora espresso alcun commento in via ufficiale. Probabilmente le due delegazioni firmeranno una dichiarazione congiunta solo se si riterranno soddisfatte degli esiti del vertice. Per ora, si sono limitate a un invito a non fidarsi delle ricostruzioni fantasiose della stampa egiziana.
Ad esempio, ieri i giornali egiziani scrivevano che la visita degli ufficiali a Roma si sarebbe potuta prolungare anche oltre il termine previsto di oggi, forse anche per una settimana. Secondo al-Masri al-Youm – un quotidiano del Cairo non particolarmente vicino al regime, lo stesso che aveva pubblicato l’intervista nella quale il generale Khaled Shalabi aveva suggerito che Regeni fosse stato vittima di un incidente stradale –, questo darebbe modo alla delegazione egiziana di incontrare la famiglia del ricercatore ucciso. Ma i genitori hanno smentito tutto: “Finora – ha detto il loro avvocato – non siamo stati contattati in alcun modo dagli inquirenti egiziani”.
F.M.R.
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