Il governo egiziano ha consegnato ieri pomeriggio all’ambasciata italiana i primi documenti sulle indagini sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso al Cairo lo scorso 25 gennaio e ritrovato morto con inequivocabili segni di torture.
I materiali, a quanto si legge nella nota del ministero degli Esteri, “sono stati immediatamente messi a disposizione del team investigativo italiano che opera al Cairo”. Si tratta di “interrogatori di testimoni da parte delle autorità egiziane”, dati sul “traffico telefonico del cellulare di Giulio Regeni” e “una parziale sintesi degli elementi emersi dall’autopsia”.
“Si tratta di un primo passo utile”, si legge nel documento. Ma “non risultano ancora essere stati consegnati altri materiali informativi richiesti”. La Farnesina spera “che la collaborazione investigativa debba essere sollecitamente completata”. E da New York, dov’è intervenuto al Council on Foreign Relations, il ministro Paolo Gentiloni ha commentato: “Speriamo che questa cooperazione finora limitata diventi più seria”.
Nel frattempo, però, il governo egiziano fa quadrato intorno a una sola ipotesi su cosa possa aver provocato la morte del ricercatore italiano.
Secondo una fonte “altamente qualificata” della presidenza, sarebbe in atto un complotto terroristico che “cerca di danneggiare i rapporti egiziani con gli altri paesi prendendo di mira le comunità straniere”.
Attraverso quest’atto coloro che vogliono colpire l’Egitto e la regione e coloro che sono legati a gruppi terroristici hanno addossato sul ministero dell’Interno egiziano la responsabilità dell’uccisione di Giulio Regeni.
Lo scorso 20 febbraio, in un discorso a Sharm el-Sheikh, il presidente Abdul Fattah al-Sisi aveva definito la morte del ricercatore e l’attentato all’aereo russo nei cieli del Sinai come tentativi di “danneggiare le relazioni dell’Egitto con la Russia e con l’Italia”. E ieri il premier Sherif Ismail, in un’intervista alla tv di Stato, ha espresso la stessa posizione: ci sarebbero “tentativi di sfruttare il caso del giovane italiano e dell’aereo russo” per “influenzare le nostre relazioni esterne”.
Martedì scorso, l’agenzia Reuters ha pubblicato le rivelazioni – smentite seccamente dal ministero della Giustizia egiziano – di una fonte interna alle indagini egiziane, rimasta anonima. Prima di morire Regeni sarebbe stato torturato “per sette giorni” “a intervalli di 10-14 ore”.
Questo significa che chiunque sia accusato di averlo ucciso, lo stava interrogando per ottenere informazioni.
Le associazioni che si occupano di diritti umani accusano ancora i servizi di sicurezza: “Le tecniche usate, come le bruciature di sigarette a intervalli di diversi giorni, sono proprio il loro marchio di fabbrica”.
Intanto la stampa filogovernativa torna a evocare l’ipotesi del tradimento: il quotidiano al-Akhbar, citando una “fonte di alto rango della sicurezza”, ha puntato il dito contro “uno dei responsabili delle sue attività” presso il think tank Oxford Analytica, che “avrebbe deciso di sbarazzarsi di lui dopo aver profittato delle informazioni”.
Filippo M. Ragusa
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