A surriscaldare il clima già pesante della tornata elettorale mancavano solo i mancati rimborsi di alcuni deputati e senatori del movimento 5stelle. Però alla fine, grazie ad un servizio delle Iene la magagna, seria e sicuramente grave se il metro di giudizio deve essere, e non potrebbe essere altrimenti, grillino, è venuta a galla con tutti gli strascichi del caso. E questo vale sia sul piano morale e comportamentale come su quello più squisitamente politico. Ma andiamo con ordine.
La denuncia via etere è stato il primo sasso nello stagno. Poi sono arrivati gli approfondimenti del caso. In mezzo, gli attacchi degli avversari di partito, le smentite, le parziali ammissioni di chi era stato pescato con le mani nella marmellata cui poi si sono aggiunte buone 72 ore di rissa politica senza esclusione di colpi. Oro per il confronto elettorale che stavolta sul banco degli imputati vede i duri e puri di chi dell’onestà e della moralità nella gestione della cosa pubblica, ha sempre fatto il punto nodale e dirimente di tutta la propria attività politico parlamentare.
E cosa emerge da questa tre giorni di scazzottate? Che una decina di deputati e senatori del movimento dopo aver aderito alla richiesta dei vertici di mettere a disposizione di un fondo speciale, nato per finanziare le piccole e medie imprese parte dei propri emolumenti, con una trovata neppure tanto geniale hanno pensato bene di riprendersi quella parte dei loro stipendi, facendo prima, e annullando poi, i bonifici che avrebbero onorato i loro impegni. Le ultime notizie confermate dallo stesso candidato premier Luigi Di Maio parlano di mancati versamenti per una cifra che si aggira sul milione e quattrocentomila euro, salvo conguagli dell’ultima ora.
Il giochino di questi maldestri furbetti della solidarietà che Di Maio è pronto “a cacciare dal movimento” con l’infamante epiteto di “mele marce” comunque il guaio, a venti giorni dal voto, indubbiamente lo hanno fatto. «Dai calcoli che abbiamo fatto noi mancano più soldi di quanto affermato dai giornali». La prima ammissione del M5S, arriva alle 14,30 di ieri attraverso un comunicato ufficioso dello staff. La seconda ammissione arriva qualche ora dopo: «E’ possibile che ci sia stato un errore di calcolo nella somma totale delle restituzioni di questi cinque anni. È una cifra più alta di quanto hanno in realtà restituito i parlamentari».
Dunque, la differenza – il famoso buco – tra quanto dichiarato dai 5 Stelle sul sito tirendiconto.it e quanto risulta dai versamenti effettivi nel fondo di garanzia per la microimpresa raccolto dal Tesoro e gestito al Mise è frutto di falsificazioni e bonifici truccati, come quelli ammessi dai parlamentari Andrea Cecconi e Carlo Martelli, ma anche da una manovra sistematica del M5S che ha gonfiato – si vedrà se con dolo o meno – la somma finale, quella che fa da vetrina sul sito del partito.
È quanto risulta dalla somma di altri soldi che sono finiti dove non dovevano stare, cioè nel mucchio dei rimborsi dei parlamentari. Infatti il totale calcolato dai 5 Stelle comprende 530.599 euro che sono il frutto dei tagli dei consiglieri di quattro regioni (Liguria, Emilia, Veneto e Trentino) e 606 mila euro che arrivano dagli europarlamentari. Non solo. Da giorni, diversi ex 5 Stelle stanno accusando il Movimento di conteggiare anche i soldi che hanno continuato a versare loro, alcuni per anni, senza più essere tenuti a tagliarsi lo stipendio e senza apparire nei profili di tirendiconto.it. «Era una promessa elettorale» spiega Cristian Iannuzzi «e ho pensato che fosse giusto verso i miei elettori farlo anche se mi hanno cacciato». Il deputato è stato espulso nel gennaio 2015, ma ha inviato bonifici sul fondo del microcredito fino al dicembre 2015, per un totale di 40 mila euro.
Lo stesso ha fatto la madre, eletta al Senato ed espulsa come il figlio nel gennaio 2015: 40 mila euro per un anno. Dal 2016 in poi entrambi hanno preferito dirottare parte della loro indennità ai terremotati di Amatrice. Nello stesso computo finale del M5S risultano, senza alcuna specifica, pure i 144.382 euro versati dal gennaio 2015 (mese della sua espulsione) al gennaio 2018 da Giuseppe Vacciano, il famoso senatore «prigioniero suo malgrado» del Senato, perché impossibilitato a dimettersi. Infine, 40 mila euro provengono dai conti correnti di due deputati epurati per le firme false di Palermo, Riccardo Nuti e Giulia Di Vita.
«In origine il sito del rendiconto era aggiornato manualmente. Ci sono stati degli errori – spiega una fonte dei vertici -. Ma soprattutto abbiamo sbagliato a non creare noi un meccanismo di controllo sui versamenti effettivi» È una storia di superficialità, questa, ma anche di bugie e di misere furberie. Un collaboratore di Di Maio venerdì ha chiesto al Mef un accesso agli atti per vedere bonifico dopo bonifico chi ha mentito e chi no. «Non mi fido più di nessuno» ha detto il leader, deluso «da squallide menzogne». In un clima di isteria e sospetto generale, Di Maio ha cambiato strategia: vuole stanare subito tutti colpevoli, prima che la sua campagna elettorale venga travolta da altre rivelazioni.
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