L’FBI interrogherà Jared Kushner nella sua inchiesta sul Russiagate. Il genero – e stretto collaboratore – del presidente USA Donald Trump non è incriminato, ma il Bureau lo ha dichiarato “persona di interesse”, convinto che abbia “informazioni rilevanti” sulle interferenze tra la Russia di Vladimir Putin e il comitato elettorale che ha portato suo suocero alla Casa Bianca
Procede spedita l’inchiesta federale diretta dal procuratore speciale Robert Mueller III. Che Kushner fosse informato sui contatti fra uomini di Trump e il Cremlino si sussurrava già da diversi giorni. Secondo un’anticipazione del Washington Post – pubblicata la settimana scorsa, mentre Trump, insieme alla figlia Ivanka e a Kushner, stava partendo per il suo primo viaggio in Europa da presidente – l’FBI stava indagando su una figura di prima grandezza dell’amministrazione presidenziale, e diversi giornali avevano ipotizzato che si potesse trattare proprio di lui. La conferma è arrivata nel tardo pomeriggio di Washington, quando in Europa era passata da poco la mezzanotte. A pubblicarla per primi sono stati ancora una volta il WP e la tv NBC News.
Ora c’è la concreta possibilità che Kushner debba rientrare in tutta fretta a Washington per rispondere a una convocazione da parte dell’FBI. Probabilmente gli investigatori gli chiederanno conto degli incontri svolti lo scorso dicembre con l’ambasciatore russo Sergej Kisljak e con un banchiere russo. Allora Trump era già stato eletto presidente, ma non si era ancora insediato; quindi, com’è noto, Kushner non avrebbe avuto ancora l’autorità di influenzare in alcun modo la politica estera del suo Stato, del quale peraltro era ancora solo un privato cittadino.
In ogni caso, come si accennava, il genero di Trump non è stato incriminato. La sua posizione non è grave come quella di Paul Manafort, l’ex direttore della campagna elettorale di Trump, o del suo ex consigliere per la Sicurezza nazionale, il generale Michael Flynn. Il suo coinvolgimento nell’inchiesta ferisce gravemente la credibilità politica dell’amministrazione Trump, più che la sua tenuta istituzionale.
Il diretto interessato “si era già offerto volontariamente di rivelare al Congresso tutto quello che sa su questi incontri”, riferisce Jamie Gorelick, uno dei suoi avvocati. Ma il no comment dell’FBI e la formula di rito con cui il dipartimento di Giustizia non ha confermato né smentito, anni luce dal mettere a tacere le voci, rendono l’idea di quanto sia delicata la materia per la Casa Bianca.
Intanto il parlamentare repubblicano Jason Chaffetz, presidente della commissione Vigilanza della Camera dei rappresentanti, ha chiesto all’FBI la documentazione dei contatti fra il suo ex direttore James Comey, la Casa Bianca e il dipartimento di Giustizia. Nella lettera indirizzata ad Andrew McCabe, attuale direttore ad interim del Bureau, Chaffetz ha richiesto espressamente materiale che risale nel tempo fino al 2013, in piena amministrazione Obama.
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